Le principali tipologie di piccola impresa unipersonale in Italia.

in Impresa e Società

Il 99,9 % delle imprese italiane sono medie o piccole (234.000 circa sono le P.M.I. in Italia che tengono bilancio, oltre tutte quelle, incalcolabili, che non sono obbligate a tenerlo); nello specifico il 94,8 % sono micro-imprese (contano meno di 10 dipendenti e un fatturato che non raggiunge i 2 milioni di euro), il 4,7 % sono piccole imprese (numero massimo di dipendenti 50 e fatturato massimo minore di 10 milioni di euro ) e solo lo 0,4 % delle imprese italiane raggiungono i 250 dipendenti, propri della media impresa (che fattura meno di 50 milioni) (dati Camera di Commercio 2015).
In Italia, dunque, più che nel resto d’Europa e ancora di più rispetto agli stati uniti d’America, le imprese che si possono ritrovare sul territorio sono tutte generalmente di dimensioni molto piccole. Numerosi sono gli imprenditori che creano imprese in cui lavorano soli o con la propria famiglia, o con pochissimi dipendenti.
Questo perché in Italia sono moltissimi gli imprenditori e dove altrove le imprese sono poche, molto spesso quotate in borsa e che danno da lavorare a centinaia e centinaia di dipendenti, l’economia italiana si è sviluppata in maniera differente, con moltissime imprese di esigue dimensioni. L’impresa in Italia è sempre stata storicamente conservatrice, diffidente verso la borsa, i grandi capitali e i monopoli di fatto. Si potrebbe dire che più che dipendenti, la maggioranza degli italiani voglia essere imprenditrice, voglia provare, cioè, a fare il passo da lavoratore per qualcun altro ad essere “capo di se stesso”, quasi che questo passo sia naturale per un lavoratore. Ma come abbiamo visto così non è in tutto il mondo.
Ovviamente questa struttura espone ai rischi di abbassamento della competitività derivanti dalla globalizzazione. Un piccolo mercato funziona per un ristretto numero di utenti (basti immaginare una bottega a conduzione familiare che soddisfa il fabbisogno del vicinato). Il nuovo problema è che il vicinato ha oramai a disposizione molte alternative alla bottega: la grande distribuzione, il commercio in rete, i grandi marchi…
A tutto ciò le piccole imprese hanno saputo comunque fare fronte offrendo, per esempio, un servizio di qualità molto superiore rispetto a quello offerto dalle grandi multinazionali e l’Italia, quale terra del Made in Italy riconosciuto in tutto il mondo, della dieta mediterranea e del grande artigianato, indubbiamente sa comprendere e apprezzare il valore della qualità. Altre vie di successo sono le azioni legali volte alla protezione di un marchio specifico. Iniziative di tal genere sono sostanzialmente favorite dal Ministero dell’agricoltura della pesca e dell’allevamento italiano, ma anche dalle varie Autorità europpee, che spesso hanno reso l’Europa “cassa di risonanza” per aumentare le tutele possibili e anche lo spazio nel quale tale normativa diventa vigente (il mercato europeo). Anche l’associazionismo delle piccole e medie imprese è una risposta. La costituzione di consorzi, per esempio, permettono alle piccole imprese di collaborare al fine di aumentare la competitività nazionale e, soprattutto, internazionale. Le associazioni di imprese sono state fondamentali in quanto compiono azioni e consulenza che permette alle associate di aumentare la visibilità e, di conseguenza, il bacino di utenza raggiungibile, sfruttando ad esempio, le vendite su internet; quelle stesse “armi” che per i più allarmisti avrebbero portato alla fine dell’impresa italiana, così come l’abbiamo sempre conosciuta.
Come emerge anche dai dati, ad oggi le piccole e medie imprese in Italia, seppure tra le tante difficoltà testè brevemente analizzate, resistono e crescono. I dati di fine 2017 pubblicati dalla Banca IFIS Impresa, ci dicono che i ricavi sono mediamente aumentati per le P.M.I. dell’8,2 % rispetto all’anno precedente, con ben 1.503 imprese che hanno registrato una crescita tripla (circa 24,5 % rispetto agli stessi dati dell’anno precedente) (dati presi dal sito www.industriaitaliana.it).
Ma il soggetto che si voglia lanciare nella creazione di un’attività in proprio (che siano piastrellisti, baristi, ristoratori, ditte edili, commercianti o qualsiasi altra forma di realizzazione personale) può avere problemi nella scelta della tipologia da dare alla propria imprese, anche perché nel tempo queste si sono moltiplicate, variando, stratificandosi in prototipi anche molto differenti gli uni dagli altri.
Ecco allora che abbiamo deciso di fornirvi una rapida guida sulle principali forme di piccola impresa, evidenziandone i pro e i contro di ognuna, al fine di guidarvi preliminarmente per questa importante scelta.
Il primo passo fondamentale è decidere se si voglia dare origine ad un’impresa individuale o ad un’impresa formata da un’aggregazione di persone (soci). In questo primo articolo compiremo un viaggio tra le forme dell’impresa gestita da un unico soggetto, in un prossimo analizzeremo invece le imprese gestite da più soggetti (società).
Partiamo dunque dall’impresa individuale (artt. 2082 c.c. e ss.). Questa è la più semplice tra tutte le imprese: è formata da un unico soggetto, che ovviamente la amministra, incassa tutti gli utili e non ha particolari doveri per quanto attenga alle scritture contabili (non sono obbligatorie per le micro imprese e per le piccole imprese). Non sono richieste nemmeno forme particolari di iscrizioni se l’impresa individuale è piccola o micro (sotto i 50 dipendenti con fatturato inferiore ai 10 milioni di euro), eccetto il caso in cui l’impresa individuale sia di natura commerciale, cioè ricompresa negli ambiti fissati dall’art. 2195 c.c. (ossia un’attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi, un’attività intermediaria nella circolazione dei beni, un’attività di trasporto, un’attività bancaria o assicurativa, o altre attività ausiliarie delle precedenti): in tal caso è obbligatoria l’iscrizione nel Registro delle Imprese presso le Camere di Commercio, nella sezione speciale pubblica.
I costi di gestione, ovviamente sono minimi, considerato la semplicità della forma, così come la sua amministrazione: un unico gestore che incassa tutti gli utili. Non è nemmeno richiesto un capitale minimo; tuttavia questo genera il primo vero “sconveniente”. Non essendoci un fondo di garanzia verso i creditori dell’impresa, questi possono soddisfarsi anche con il patrimonio personale dell’imprenditore che è illimitatamente responsabile, con tutto il suo patrimonio presente e futuro nei confronti delle obbligazioni sorte per la sua impresa.
L’alternativa all’impresa individuale è la società unipersonale a responsabilità limitata (Decreto Legislativo numero 88/1993, attuativo della XXII direttiva del Consiglio CEE numero 89/667). Trae origine da una forma di società di persone che illustreremo più avanti, ma visto il suo risultato sorprendente, anche per diffusione nel tessuto sociale, il legislatore ha pensato di introdurla anche per le imprese individuali. Come nell’impresa individuale la gestione e la spartizione degli utili non da origine a particolari complessità (vi è un unico soggetto). I costi sono molto bassi, ma l’obbligatorietà dell’atto pubblico per la costituzione li fa lievitare subito rispetto a quelli dell’impresa individuale. Inoltre per le piccole o micro imprese in materia commerciale è necessaria l’iscrizione nel Registro delle Imprese presso le Camere di Commercio, nella sezione speciale pubblica. Non vi è l’obbligo di tenuta contabile per le piccole e micro imprese, il capitale minimo richiesto è 1 € simbolico, ma deve rappresentare la totalità dei conferimenti all’impresa stessa. Questo capitale sarà la garanzia nei confronti dei creditori dell’impresa, con l’importante conseguenza che l’imprenditore non risponderà con il suo patrimonio personale dei debiti contratti dalla sua S.r.l unipersonale. Va da se che se il capitale fosse eccessivamente esiguo, sarebbe difficile ottenere il necessario credito sul libero mercato, quindi, anche se formalmente basta un singolo euro, è consigliabile aumentare i conferimenti già dall’inizio della vita dell’impresa, anche perché, è da ricordare, l’imprenditore non risponderà con il suo patrimonio delle obbligazioni contratte con la società.
In definitiva questa forma di impresa costa tendenzialmente di più rispetto all’impresa individuale che abbiamo in precedenza analizzato ma, a sua differenza, limita la responsabilità dell’imprenditore al capitale sociale, preservando il suo patrimonio personale, che non è cosa da poco.
In un prossimo articolo vedremo a analizzeremo, invece, le varie forme di società idonee, per le loro caratteristiche, a dare veste giuridica alle piccole medie imprese che nascono in Italia.

Bibliografia

• C. PIRRO Associazione in partecipazione e società irregolare, Milano, 1938 Giuffrè.
• G. DORIA Le nuove forme di organizzazione del patrimonio, Torino, 2012, Giappichelli.
• M. G. MONEGAT Applicazioni nel diritto commerciale e azioni a tutela dei diritti in trust, Torino, 2008, Giappichelli.
• W. BIGIAVI Il fallimento. Giurisprudenza sistematica civile e commerciale I Milano, 1978, Giuffrè.
• AA. VV., Società di persone, 2018, reperibile on-line all'indirizzo: www.notariato.com
• AA. VV., Società a responsabilità limitata, 2018, reperibile on-line all'indirizzo: www.notariato.com