Adozioni e tutela della riservatezza: profili storici, tipologie, limiti all’accesso

in Diritto Amministrativo

Il tema delle adozioni, specie quando coinvolge atti e procedure risalenti nel tempo, presenta numerosi profili di interesse giuridico, storico e sociale. Un caso che ci è capitato recentemente è quello di un’adozione avvenuta nel 1949, in un’epoca antecedente alla riforma organica della materia operata dalla legge n. 184/1983. In tali situazioni, può emergere un conflitto tra il diritto di accedere ai documenti di stato civile e le norme che tutelano la riservatezza dell’adottato, in particolare l’art. 28 della suddetta legge.

Questo articolo intende offrire un inquadramento completo della disciplina delle adozioni, ripercorrendone l’evoluzione normativa, analizzando le principali tipologie adottive, chiarendo la ratio delle limitazioni imposte dall’ordinamento e riflettendo sulla loro concreta applicabilità nei casi storici. L’obiettivo è fornire strumenti interpretativi utili tanto agli operatori del diritto quanto ai cittadini che si trovino coinvolti in situazioni simili.


1. Evoluzione normativa: dalle origini alla riforma del 1983

1.1 L’adozione ordinaria nel codice civile previgente

Nel sistema giuridico italiano anteriore alla legge n. 431/1967, l’adozione era disciplinata dal codice civile del 1942 e rappresentava una fattispecie giuridica profondamente diversa da quella attuale. Si trattava infatti di un istituto con finalità prevalentemente patrimoniali, spesso destinato a garantire la continuità del nome e del patrimonio familiare in assenza di discendenti diretti. Non comportava la rescissione dei legami con la famiglia d’origine, né attribuiva all’adottato uno status del tutto equiparabile a quello del figlio legittimo.

1.2 La riforma del 1967: introduzione dell’adozione speciale

La legge n. 431/1967 segnò una prima svolta, introducendo l’adozione cosiddetta “speciale”, destinata ai minori in stato di abbandono e fondata su presupposti più affini a quelli odierni: la centralità dell’interesse del minore e l’inserimento stabile in un nuovo nucleo familiare. A differenza dell’adozione ordinaria, l’adozione speciale determinava la cessazione dei rapporti giuridici con la famiglia biologica.

1.3 La legge n. 184/1983: un nuovo paradigma

Con la legge n. 184/1983 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori), l’ordinamento recepì definitivamente un modello di adozione come strumento di protezione e stabilità per il minore. Essa sancisce il principio secondo cui l’adozione è ammessa solo quando sia impossibile garantire al minore un ambiente familiare adeguato nella propria famiglia d’origine. Viene inoltre regolato con maggiore dettaglio l’accesso alle informazioni relative all’adozione, introdotto un sistema articolato di controlli e un preciso bilanciamento tra diritto all’identità personale e tutela della riservatezza.


2. L’art. 28 L. 184/1983: contenuto, finalità e limiti

2.1 Il testo della norma

L’art. 28 della legge n. 184/1983 dispone che:

“L’ufficiale dello stato civile, l’ufficiale d’anagrafe e qualsiasi altro ente pubblico o privato, autorità o pubblico ufficio debbono rifiutarsi di fornire notizie, informazioni, certificazioni, estratti o copie dai quali possa comunque risultare il rapporto di adozione, salvo autorizzazione espressa dell’autorità giudiziaria.”

Fanno eccezione solo i casi in cui l’informazione sia necessaria per verificare l’esistenza di impedimenti matrimoniali o per determinazioni richieste dalla stessa autorità giudiziaria.

2.2 La ratio: tutela dell’identità adottiva

La norma mira a tutelare l’integrità e la stabilità dell’identità dell’adottato, favorendo il pieno inserimento nella famiglia adottiva e assicurando la riservatezza circa i legami biologici originari. In particolare, essa impedisce che, attraverso la consultazione dei registri civili, possano emergere informazioni non volute o potenzialmente traumatiche per la persona adottata.

2.3 Limiti applicativi e profili problematici

La formulazione dell’art. 28 è ampia e, in assenza di interpretazioni restrittive, si presta ad applicazioni estensive, anche a casi non perfettamente riconducibili alla fattispecie normativa. Tuttavia, l’applicazione automatica di tale divieto anche ad adozioni anteriori alla legge del 1983 solleva dubbi di compatibilità con i principi generali del diritto e con l’interpretazione storica e sistematica della norma.


3. Adozioni storiche e accesso agli atti: quando l’art. 28 non si applica

3.1 L’adozione del 1949: un caso fuori dal regime moderno

Nel caso di un’adozione risalente al 1949, la disciplina di riferimento è quella del codice civile allora vigente. Come detto, si trattava di un’adozione ordinaria, che non determinava né la piena equiparazione allo stato di figlio né la cancellazione dei legami con la famiglia biologica. In questo contesto, la riservatezza non era un valore giuridico protetto nel senso moderno e l’atto di nascita poteva contenere riferimenti diretti all’adozione.

3.2 Inapplicabilità dell’art. 28 L. 184/1983

Proprio per la diversa natura dell’adozione previgente, è opinione giuridicamente fondata che l’art. 28 della legge del 1983 non possa essere applicato automaticamente ai casi anteriori alla sua entrata in vigore. Non solo la norma è successiva, ma la sua ratio non trova piena corrispondenza nelle fattispecie precedenti. L’adozione del 1949 non comportava la “segretezza” né l’esigenza di proteggere l’identità adottiva come previsto per le adozioni moderne.

3.3 Possibili soluzioni operative

In presenza di un rifiuto da parte dell’ufficiale dello stato civile di rilasciare un estratto per copia integrale dell’atto di nascita con le relative annotazioni, è opportuno:

  • Evidenziare, nella richiesta, la natura “storica” dell’adozione e l’inapplicabilità dell’art. 28;
  • Chiedere un provvedimento motivato che giustifichi l’eventuale diniego;
  • In caso di rifiuto immotivato o illegittimo, valutare un ricorso al giudice competente.

4. Controargomentazioni e criticità

Sebbene l’inapplicabilità dell’art. 28 ai casi anteriori al 1983 appaia giuridicamente sostenibile, è necessario tenere conto di alcune controargomentazioni:

  • Prassi amministrative restrittive: alcuni uffici tendono ad applicare l’art. 28 in via generale, senza valutare le peculiarità storiche del caso concreto.
  • Assenza di giurisprudenza consolidata: la questione non è stata affrontata in modo sistematico dalla Corte di Cassazione o da altre autorità centrali, lasciando margine a interpretazioni difformi.
  • Difficoltà nella prova: per sostenere la tesi dell’inapplicabilità, è spesso necessario ricostruire in modo documentale la natura e la disciplina dell’adozione originaria.
  • Effetti giuridici della trascrizione: in alcuni casi, l’adozione può essere stata successivamente trascritta secondo il nuovo regime, generando incertezza sull’applicabilità della normativa attuale.

Il divieto di accesso previsto dall’art. 28 della legge n. 184/1983 rappresenta uno strumento fondamentale per garantire la riservatezza e la protezione dell’identità adottiva nelle adozioni moderne. Tuttavia, l’estensione automatica di tale divieto a casi risalenti, come quelli disciplinati dal codice civile previgente, appare giuridicamente discutibile.

Nel caso di un’adozione del 1949, l’assenza di un vincolo legislativo al silenzio e la diversa struttura giuridica dell’adozione ordinaria impongono una riflessione più attenta e l’adozione di un criterio interpretativo orientato alla tutela dell’accesso, della certezza e del bilanciamento dei diritti.

Pertanto, chi si trovi in situazioni simili ha il diritto di chiedere un riesame amministrativo fondato sulla ricostruzione normativa storica e, se necessario, di adire l’autorità giudiziaria per ottenere giustizia.