La Divisione Ereditaria

La divisione ereditaria, disciplinata all’interno dell’art. 713 e ss. c.c.,  è l’atto che pone fine alla comunione ereditaria che sussiste quando più coeredi sono stati chiamati all’eredità e l’hanno accettata. La comunione ereditaria fa si che ciascun coerede divenga titolare non di singoli beni determinati contenuti nell’asse ereditario ma di una quota ideale di ciascun bene presente in esso. Attraverso la divisione ereditaria ciascun coerede diventerà esclusivo proprietario di beni corrispondenti per valore alla quota a lui spettante nello stato di indivisione; questo significa che ciascun coerede sarà considerato successore solo nei beni che ha ottenuto con la divisione e che questi saranno di sua proprietà dal momento dell’apertura della successione, tutti gli altri beni, invece, destinati per divisione agli altri coeredi si ritiene che non siano mai stati di sua proprietà. L’art. 715 c.c. individua una serie di casi in cui non si può procedere alla divisione ereditaria:
  • Se per disposizione del testatore la divisione è soggetta a condizione di termine comunque non superiore a 5 anni dalla morte del testatore o se fra i coeredi è stato designato un minore.
  • Se l’attribuzione di quote ereditarie è incerta perché vi è fra i chiamati un nascituro, perché è ancora pendente il giudizio sulla filiazione legittima o naturale di un soggetto che, in base al suo status, avrebbe diritto a succedere o ancora perché è stato istituito erede un ente non riconosciuto.
  • Se il giudice con provvedimento decide di sospendere la divisione per non più di cinque anni; ciò accade quando l’immediata divisione porterebbe un notevole pregiudizio al patrimonio ereditario. Il notevole pregiudizio consiste nel pericolo di una riduzione di valore o di reddito derivante dall’immediata divisione, deve essere oggettivo e non riguardare i singoli interessi dei coeredi.
  • Se è stato istituito tra i coeredi il c.d. patto di indivisione, ex art. 1111, commi 2 e 3 c.c., con cui essi decidono di rimanere in comunione rinunciando al loro diritto di chiederne lo scioglimento; esso non può prevedere un termine più lungo di dieci anni.
Come noto esistono varie forme di divisione ereditaria: contrattuale, giudiziale e del testatore. La prima sussiste quando vi è il consenso di tutti gli aventi diritto alla divisione ed è un contratto tipico a efficacia reale. La divisione contrattuale nonostante segua, in linea di principio, la disciplina dei contratti se ne discosta, però, sotto alcuni aspetti; essa, infatti, può essere annullata solo per violenza e dolo, ma non per errore; può essere rescissa per lesione se uno dei coeredi ha ricevuto beni per un valore inferiore rispetto alla quota senza che sia necessario dimostrare lo stato di bisogno del soggetto leso, ma solo l’oggettiva lesione e può richiedersi quando la lesione è oltre il quarto della quota. La seconda, invece, sussiste quando non vi è il consenso di tutti i coeredi alla divisione e questa deve, pertanto, essere dichiarata dal giudice civile con provvedimento qualora non sia andata a buon fine la procedura di mediazione obbligatoria tra i coeredi. La divisione giudiziale, quando i beni della massa ereditaria sono divisibili, fa si che ciascun coerede ottenga la propria quota in natura; diversamente, se i beni sono indivisibili essi vengono assegnati dal giudice a un coerede che sarà poi tenuto a pagare eventuali conguagli agli altri coeredi oppure sono venduti all’asta e il ricavato sarà poi distribuito tra i vari coeredi in ragione delle loro quote ereditarie. La terza, infine, ovvero la divisione del testatore si ha quando le porzioni spettanti ai vari coeredi vengono individuate direttamente nel testamento. Tale forma di divisione ha origine nel diritto romano ed è stata successivamente, riconosciuta e limitata nel codice napoleonico del 1865, infatti questo prevedeva che tale divisione potesse essere realizzata solo dalla madre, dal padre e da altri ascendenti a favore dei figli e dei discendenti. Il codice civile odierno ha generalizzato la disciplina della divisione del testatore però ha previsto solo tre tipi di interventi che possono essere eseguiti dal de cuius. Il disponente, infatti, può prevedere con i c.d. assegni divisionali semplici norme di carattere obbligatorio per gli eredi nella futura divisione; può sancire che la divisione sia effettuata secondo la stima di una persona da lui designata che non sia un erede o un legatario; infine, può dividere in tutto o in parte il suo patrimonio con i c.d. assegni divisionali qualificati che hanno efficacia reale tendenzialmente immediata. La divisione fatta dal de cuius può avere a oggetto anche la parte non disponibile del patrimonio e così ledere qualche legittimario; nel caso in cui la divisione non consideri tutti i legittimari, essa è nulla; se invece, li considera tutti ma lede la legittima riservata a qualche successore necessario è valida; il soggetto leso potrà agire in giudizio con l’azione di riduzione. Circa la divisione ereditaria erano sorti in dottrina e giurisprudenza numerosi dibattiti volti a comprendere la sua natura giuridica. Le tesi prevalenti sul punto erano due: quella dichiarativa che riteneva che la divisione non avesse un effetto traslativo dei diritti, ma semplicemente ridisegnasse un nuovo assetto del patrimonio in capo all’erede e quella costitutiva che, al contrario, considerava che la divisione avesse effetti traslativi e che quindi, prima di questa, fosse esistente soltanto una comunione e non il diritto di ciascun coerede su determinati beni. I sostenitori della prima ipotesi, prevalente in dottrina, fondano la loro tesi sull’art. 757 c.c. avente ad oggetto l’efficacia retroattiva della divisione; invece, coloro che affermano la natura costitutiva dell’istituto in esame considerano il momento della divisione come passaggio successivo a quello della comunione e, pertanto, ritengono che essa abbia efficacia irretroattiva. La giurisprudenza inizialmente aveva adottato una tesi intermedia poiché considerava la divisione ereditaria avere natura mista: dichiarativa se senza conguagli o per la parte non relativa ai conguagli e costitutiva nel caso in cui a un coerede fosse stato assegnato un bene in eccedenza e quindi si dovesse applicare la disciplina dei conguagli. Recentemente le Sezioni Unite hanno reinterpretato la natura giuridica della divisione ereditaria con la sentenza n. 25021 del 2019 stabilendo che tale istituto sia un negozio inter vivos e non mortis causa poiché l’evento morte è un mero presupposto strutturale i cui effetti si sono esauriti con la nascita della comunione ereditaria e non condiziona in nessun modo la divisione; per questi motivi, la divisione ereditaria ha natura costitutiva indipendentemente dalla presenza di conguagli. Le Sezioni Unite, infine, giustificano l’applicazione dell’art. 757 c.c. alla disciplina della divisione ereditaria distinguendo tra effetto e natura; infatti, essa pur avendo natura costitutiva ha efficacia retroattiva; in assenza della suddetta disposizione l’istituto in esame produrrebbe i suoi effetti ex nunc proprio come tutti i negozi di tipo costitutivo. Dott.ssa Monica Bova