Atti di bullismo: ne risponde la madre, il padre, ma anche se divorziati, la scuola e il MIUR.

in Diritto Amministrativo

Sentenza piuttosto innovativa quella emessa dal Tribunale dei minori di Roma, nella sezione XIII il 4 aprile 2018, la n.6919.
I giudici sono stati chiamati per sanzionare un grave caso di bullismo.
In una classe prima di un istituto tecnico posto alla periferia della Capitale, uno studente apostrofava spesso un suo compagno di classe con insulti e parolacce, accusandolo di puzzare, e minacciandolo di fargli violenza fisica.
Il coniglio di classe, che come noto è composto dai docenti di ciascuna sezione dell’istituto, dal Dirigente Scolastico (o un suo sostituto) e da rappresentanti dei genitori e degli studenti nelle scuole superiori, interveniva offrendosi di contattare la famiglia della vittima, al fine di comunicargli l’importanza di una migliore cura dell’igiene personale.
Nei confronti dell’aggressore nulla fu proposto, se non demandare la questione al Collegio dei docenti, che raggruppa tutti gli insegnanti dell’istituto. Tale organo, comunque, rimase del tutto inerte.
Nel frattempo le aggressioni verbali si sono trasformate in aggressioni fisiche, culminate con più contatti (spintoni e sputi) avvenuti al momento dell’uscita dall’istituto scolastico, e con una serie di pugni che hanno comportato la rottura del setto nasale della vittima, oltre che plurime fratture agli zigomi, sulle quali sono dovuti intervenire chirurgicamente i medici, che gli hanno prescritto una prognosi di 40 giorni, oltre quelli, molto più numerosi, necessari a superare il trauma psicologico, legato anche alla giovane età dei protagonisti della vicenda.
Normalmente questo tipo di causa si risolve con la condanna della famiglia al risarcimento del danno causato all’aggredito, mentre l’aggressore può essere riconosciuto colpevole di molteplici reati quali la minaccia, le lesioni e le percosse (se maggiore di 14 anni e ritenuto capace di intendere e volere). La famiglia, infatti, è responsabile in educando, cioè dei danni causati dal figlio che derivino da una carente educazione, mentre la scuola è responsabile in vigilando, cioè per quei danni causati da omessa o carente vigilanza sugli studenti.
Il tribunale di Roma ha invece riconosciuto co-responsabile in solido anche la scuola, in quanto autrice di una sottovalutazione del problema, non avendo fornito un intervento che avrebbe potuto prevenire l’evento lesivo, a prescindere che il fatto si sia verificato fuori dall’edificio scolastico e dal fatto che sarebbe stato impossibile per l’insegnante, o per i suoi collaboratori, intervenire immediatamente prima dell’evento, al fine di prevenire la causazione del danno.
Sarà quindi chiamato a risarcire il danno, in solido con la famiglia, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, il quale potrà poi esercitare il diritto di regresso sul personale scolastico responsabile.
É stato inoltre chiamato in causa anche il padre del minore, anche questo punto è di notevole interesse, nonostante questo sia divorziato dalla madre e non più convivente con il minore, in quanto il divorzio non esonera il genitore dal mantenere, istruire, educare ed assistere moralmente il figlio.
A nulla sono valse le difese dell’Avvocatura di Stato, che hanno sostenuto il fatto che la minor età dell’aggressore non avrebbero potuto configurare responsabilità, in quanto i giudici hanno ritenuto lo stesso elemento un fattore aggravante in capo alla scuola, in quanto, in considerazione della difficile fase di crescita dell’adolescenza, sarebbero stati necessari interventi ancora più precisi e strutturati.