Gli otto sintomi per riconoscere la manipolazione affettiva del figlio.

in Diritto di Famiglia

Il caso di riconosciuta manipolazione affettiva compiuta dal genitore sul figlio, a lui affidato in via esclusiva, può causare il ribaltamento dell’affidamento esclusivo a vantaggio dell’altro genitore che era stato, di fatto, estromesso, violando il diritto del minore alla bigenitorialità.

Ad adottare tale decisione, per ultimo, il Tribunale di Brescia con sentenza 815/2019, aderendo ad un indirizzo giurisprudenziale che, seppur estremo, viene ad oggi condiviso da un numero sempre maggiore di tribunali.

Nel caso de quo il figlio, una minore affidata alla madre, aveva dieci anni e aveva sviluppato nel tempo una crescente e apparentemente immotivata avversione personale nei confronti del padre, arrivando a rifiutare di volerlo vedere.

I Servizi sociali ravvisavano l’assenza di evidenti mancanze paterne nei confronti della figlia. Al contrario il genitore si era dimostrato “attento alle richieste ed ai bisogni della figlia, ed ha dimostrato di avere buone competenze nel rapportarsi con lei, riuscendo a non reagire ai rimproveri mossigli dalla bambina”.

Il consulente dei Servizi sociali aveva così avanzato l’ipotesi di p.a.s. (sindrome di alienazione parentale), ovvero una dinamica psicologia disfunzionale che si può verificare sui figli minori coinvolti in contesti di separazioni o divorzi.

Per riuscire ad accertarla la medicina legale-psicologica ha individuato 8 punti:

1) sussistenza di una campagna denigratoria, nella quale il bambino mima e scimmiotta i messaggi di disprezzo del genitore alienante;

2) razionalizzazione debole dell’astio, per cui il bambino spiega le ragioni del suo disagio nel rapporto con il genitore alienato con motivazioni illogiche, insensate o superficiali;

3) mancanza di ambivalenza. Il genitore rifiutato è descritto dal bambino “tutto negativo”, mentre l’altro genitore è “tutto positivo”;

4) fenomeno del pensatore indipendente: il bambino afferma che ha elaborato da solo la campagna di denigrazione del genitore;

5) appoggio automatico al genitore alienante, quale presa di posizione del bambino sempre e solo a favore del genitore alienante;

6) assenza di senso di colpa;

7) affermazioni che non possono ragionevolmente provenire direttamente dal figlio minore;

8) estensione dell’ostilità alla famiglia allargata del genitore rifiutato.

Tali indici furono ravvisati dal consulente tecnico d’ufficio, nonostante la madre raccomandasse verbalmente alla figlia di tenere un rapporto costante con il padre.

Quello che rileva quando ci si rapporta con i figli minori, infatti, a detta dei giudici, non è tanto la comunicazione verbale, ma l’esempio che si dà ed il comportamento che si tiene, che viene assimilato per osmosi, più della parole, che il bambino intuisce già come ipocrite, in quanto contraddette dal comportamento del genitore affidatario. Tali comportamenti legittimano il Tribunale a modificare l’assegnazione esclusiva dal genitore alienante a quello alienato.

In questa direzione anche la Corte di Cassazione: “Tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena” (Cass. 6919/16)