Diffondere immagini senza il consenso del ritratto.

in Diritto d'Autore

In quest’epoca di selfie, foto e immagini scattate da tutti a tutto, poi condivise sui social, date così in pasto alla pubblica opinione, si verificano sempre più spesso casi di soggetti fotografati contro il loro consenso che poi si ritrovano condivisi all’infinito su siti senza nemmeno esserne a conoscenza.
Questo fenomeno di furto e condivisione di nostre immagini hanno portato a diversi risvolti che ci proponiamo di analizzare in seguito.
I fenomeni di questo tipo più comuni sono, a nostro modo di vedere, tre: le immagini o i video scattati o girati in momenti di intimità, anche con il consenso dei ritratti, in atteggiamenti sessuali che vengono poi diffusi, le foto dei minori pubblicate senza consenso dei genitori, o di uno di essi, e, infine, i casi più generici, in cui un soggetto venga fotografato da chiunque e poi si ritrovi oggetto di diffusione senza il suo consenso.
Tutte queste tipologie di fenomeni, sono dipendenti dal fatto che i social-network hanno reso possibile la condivisione di foto ovunque, senza più la necessità di doversi presentare da un editorie di un giornale, e subire il suo controllo, sotto la sua responsabilità, per poter ottenere una pubblicazione. Inoltre, anche il progresso tecnologico strettamente inteso, ha permesso la comparsa di cellulari che, oramai, nella grandissima maggioranza sono dotati di ottime fotocamere.
Tutti possono scattare in ogni momento fotografie, o girare filmati, e tutti possono anche pubblicarle su internet, che rende praticamente impossibile, per la sua stessa natura, una rimozione delle stesse.
Il legislatore ha provato a regolare l’abuso di chi diffonda immagini che ritraggono un soggetto senza il di lui consenso, ma le norme paiono complessivamente in ritardo e il corpus fondamentale si riferisce ancora ai vecchi codici civili e penale.
In definitiva, oggi, il soggetto che diffonda immagini, nonostante l’esplicito divieto dei ritratti, commette reato? Quale tipo di soddisfazione può ottenere il soggetto sul quale è perpetrato l’abuso?
La risposta è, come spesso accade quando si parla in ambito giuridico, dipende.
Dal punto di vista civile una tutela la si può trovare nell’articolo 10, il quale afferma “Qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni ”. Il nostro codice civile, in altri termini, tutela i soggetti che hanno subito la pubblicazione della loro immagine senza averne dato un preventivo consenso, con il risultato di ottenere un duplice effetto. Da una parte si può ottenere un risarcimento, calcolato dal giudice a seconda della gravità del pregiudizio arrecato nella pubblicazione della foto o del video. Dall’altra il giudice può disporre che la stessa sia “bloccata” nella sua diffusione, facendo cessare l’abuso come riporta la normativa. Rimane, tuttavia, il problema di individuare il modo in cui sia possibile bloccarne la diffusione. I file, una volta caricati su internet, danno la possibilità a qualunque fruitore di visionarli e scaricarli. Se anche il sito su cui questi vengono caricati venisse costretto a eliminarli (che sia facebook, un canale pornografico o qualsiasi altro) nulla potrebbe materialmente impedire a qualsiasi utente, una volta scaricati, di ricaricarli.
Questa, inoltre, è una tutela civile, ovvero azionabile tra privati. Sarebbe quindi il singolo danneggiato a dover adire, con ogni costo annesso, e con la necessaria assistenza di un legale, il Tribunale competente. Inoltre, l’autore della diffusione non potrà essere punito dallo Stato (né con sanzioni, né con misure più gravi quali l’arresto, la reclusione o altre) per la sua condotta, oltre alla costrizione di dover risarcire la controparte.
Una tutela aggiuntiva, ovvero una tutela dell’ordine pubblico, che legittima l’intervento statale, il quale, quando impone sanzioni quali ammende, multe, arresto o reclusione, ha lo scopo di punire l’autore del male causato, neutralizzandolo per il futuro e insegnando agli altri consociali la riprovevolezza di tali comportamenti. Questo tipo di “giustizia effettiva”, in quanto non limitata ad avere valenza tre le parti protagoniste dell’evento, si verifica solo in determinate circostanze.
In altre parole, ricongiungendoci al concetto di punibilità del soggetto che diffonde immagini di altri senza il loro consenso con cui abbiamo aperto questo articolo, commette reato chi pubblica immagini di terzi solo a determinate circostanze.
Una di queste è che esse abbiano contenuto sessuale.
É il caso della così detta revenge porn, ovvero “vendetta porno”. L’amante che convince il compagno o la compagna a farsi filmare nel compimento di un atto sessuale, per poi diffonderlo dopo la fine del rapporto, allo scopo di creare un nocumento alla dignità sociale dell’ex compagno o compagna. Il legislatore è intervenuto molto recentemente a tal proposito, anche dopo il caso divenuto molto noto, riferito alla disavventura di Tiziana Cantone. La donna, una 33enne, ha subito la diffusione di un video che la ritraeva mentre compieva del sesso orale sul suo amante, e dopo la diffusione dello stesso, spinta dalla vergogna, si è tolta la vita nel 2016.
Il legislatore ha così deciso di contrastare il fenomeno inserendo l’art. 10 comma 1 della L. 69/2019, introducendo l’art. 612-ter c.p. “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa a euro 5.000 a euro 15.000.La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.”
La complessa norma ha innalzato le tutele per chi si ritrovi vittima di un tale evento, oggi pienamente ascritto tra i reati perseguiti dal nostro codice penane.
In quei casi, invece, in cui le immagini diffuse non abbiano contenuto sessuale, il discorso rimane leggermente più complesso.
L’articolo a cui si può fare riferimento è senz’altro il 167 codice della privacy. Esso afferma che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre per sé o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, operando in violazione di quanto disposto dagli articoli 123, 126 e 130 o dal provvedimento di cui all’articolo 129 arreca nocumento all’interessato, è punito con la reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre per sé o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, procedendo al trattamento dei dati personali di cui agli articoli 9 e 10 del Regolamento in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 2 sexies e 2 octies, o delle misure di garanzia di cui all’articolo 2 septies ovvero operando in violazione delle misure adottate ai sensi dell’articolo 2 quinquidiesdecies arreca nocumento all’interessato, è punito con la reclusione da uno a tre anni. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la pena di cui al comma 2 si applica altresì a chiunque, al fine di trarre per se’ o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, procedendo al trasferimento dei dati personali verso un paese terzo o un’organizzazione internazionale al di fuori dei casi consentiti ai sensi degli articoli 45, 46 o 49 del Regolamento, arreca nocumento all’interessato. Il Pubblico ministero, quando ha notizia dei reati di cui ai commi 1, 2 e 3, ne informa senza ritardo il Garante. Il Garante trasmette al pubblico ministero, con una relazione motivata, la documentazione raccolta nello svolgimento dell’attività di accertamento nel caso in cui emergano elementi che facciano presumere la esistenza di un reato. La trasmissione degli atti al pubblico ministero avviene al più tardi al termine dell’attività di accertamento delle violazioni delle disposizioni di cui al presente decreto. Quando per lo stesso fatto è stata applicata a norma del presente codice o del Regolamento a carico dell’imputato o dell’ente una sanzione amministrativa pecuniaria dal Garante e questa e’ stata riscossa, la pena è diminuita.”
Tale norma può considerarsi un “cappello” a chiusura dell’argomento. In quei casi nei quali vengano diffuse immagini che causino un oggettivo danno nel soggetto ivi ritratto e diffuse senza il suo consenso, si costituisce tutela penale.
Nei casi, invece, ove non vi sia un oggettivo danno nella pubblicazione di fotografie o video di soggetti che non hanno espresso consenso, permane la sola tutela civile. Sarà il singolo soggetto a dover adire le vie legali.
Questa anche la soluzione nei casi in cui le vittime siano minori. In tale ambito sempre più spesso agiscono i genitori separati, che rimproverano all’altro coniuge la sovraesposizione del figlio, soprattutto sui social-network. La giurisprudenza è piuttosto costante nel proteggere le immagini del minore, laddove la sua diffusione non sia autorizzata da entrambi i genitori (per esempio Cass. 37596/2014).

Bibliografia:

• GIOVANNI MARIA RICCIO, GDPR e normavita privacy: commentario, Milano, Wolters Kluwer, 2018
• MARCO OROFINO, Privacy, minori e cyberbullismo, Giappichelli, Torino, 2018
• FABIO DI RESTA La nuova privacy europea: i principali adempimenti del regolamento UE 2016(679 e profii risarcitori, Torino, Giappichelli, 2018
• NICOLA BERNARDI, Privacy. Protezione e trattamento dei dati, Milano, Wolters Kluwer, 2019