Escludere un socio da una società di persone.

in Impresa e Società

Le società di persone sono quelle che meglio caratterizzano le strutture delle piccole e medie imprese, in quanto viene posto l’accento sulla persona, e non sul capitale.

La centralità, quindi, è data ai soci, che solitamente sono pochi e legati da rapporti di amicizia o parentela, e non al possesso delle quote, come avviene per le società di capitali, ove chiunque, acquistandole, può assumere la qualità di socio (e non di amministratore, come invece avviene normalmente alle società di persone, ove il socio e l’amministratore sono figure che ordinariamente coincidono).

Ma tutte le società possono sciogliersi. I motivi a cui la legge fa conseguire tale provvedimento sono elencati all’art. 2272, ovvero:

  • il decorso del termine (nel caso in cui fosse previsto nell’atto costitutivo)
  • per il conseguimento dell’oggetto sociale o per la sopravvenuta impossibilità di eseguirlo
  • per volontà comune a tutti i soci
  • quando viene a mancare la pluralità dei soci
  • per le cause previste dal contratto sociale.

In tutti questi casi la società viene sciolta, entra in una fase detta “liquidazione” ove un soggetto terzo, il liquidatore, si occuperà di vendere i beni che rientrano nella proprietà aziendale per soddisfare gli eventuali creditori, oppure li vende per restituire i guadagni ai soci.

Nella prassi tuttavia, analogamente a quanto spesso accade nella fase finale di un matrimonio, i soci imputano le cause della rottura delle società all’altro o ad altri soci.

É possibile, dunque, escludere un socio, colpevole di varie negligenze verso la società, mantenendo in vita l’impresa?

La risposta è SI in determinati casi quali l’interdizione o inabilitazione del socio, condanne penali che importino l’interdizione dai pubblici uffici o la più generica causa in cui questo sia responsabile di gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale (art 2286 c.c.).

Per gravi inadempienze si intendono comportamenti realmente molto gravi, quali sottrazione di beni appartenenti alla società o la detrazione degli utili. Non basta dunque, il non aver rispettato gli accordi sugli orari di lavoro o le generiche accuse di scarso impegno o scarsa redditività nei momenti in cui l’attività era assegnata a un socio piuttosto che all’altro.

Molto spesso i giudici finiscono per applicare l’articolo 2272 anziché il 2286 c.c., in quanto le accuse reciproche fanno sorgere evidenti inconciliabilità, che, seppur addossate a responsabilità di altro socio, mettono in evidenza semplicemente la volontà dei soci a voler terminare la società.

Il socio che venisse escluso per le gravi responsabilità che abbiamo poc’anzi indicato, dovrebbe essere comunque liquidato della sua partecipazione, da determinarsi in base alla situazione patrimoniale della società al momento dell’esclusione.

Il consiglio che si può dare ai soci in crisi è, dunque, sempre quello di trovare un accordo, di scegliere chi compra e chi vende, di trovare un accomodamento sulla cifra e liquidare congruentemente il socio uscente, nel bene della società già avviata che altrimenti rischia di chiudere una volta per tutte.