L’amministrazione del futuro dal 1990.

in Diritto Amministrativo

L’amministrazione ha vissuto una svolta oramai già anni fa, il problema è che se ne sono accorti in pochi.

Era il 1990, quando il governo Andreotti VI introduceva una riforma che sulla carta avrebbe dovuto portare ad una amministrazione che oggi chiameremmo, a pieno titolo, 2.0.

Prima del 1990, infatti, tutti gli atti della Pubblica Amministrazione erano, di regola, riservati, non accessibili ai cittadini. Nemmeno era possibile prendere visione degli atti amministrativi, salvo casi eccezionali nei quali venivano decretati come pubblici dall’autorità emittente. Gli atti pubblici erano pochissimi e per essere definiti tali dovevano superare il vaglio di diverse commissioni, e molto spesso, tale decisione dipendeva da scelte di natura politica che poco centravano con l’atto in sé.

Se l’amministrazione non avesse risposto a qualsiasi tipo di richiesta, questa doveva ritenersi respinta, o, comunque, non accolta, senza nemmeno l’obbligo di motivazione.

Anche per le aperture di procedimenti che riguardano un cittadino o un bene di sua proprietà (si pensi ad un progetto di una strada che deve essere realizzata espropriando un terreno privato) l’informazione all’interessato non era celere, anzi, molto spesso si veniva informati solo quando ci si trovava le ruspe di fronte.

Questa amministrazione, a ben vedere propria di uno stato staliniano, era in realtà quella adottata nel nostro Paese. Poi, con la Legge 241 del 1990, tutto cambiò.

Tutti gli atti della pubblica amministrazione sono diventati di regola pubblici, e solo eccezionalmente riservati. Il cittadino, infatti, ha sempre diritto di prendere visone degli atti amministrativi, salvo in casi eccezionali (diritto alla privacy di co-interessato, segreto di Stato…).

In caso di mancata risposta da parte dell’amministrazione pubblica, e qui il concetto si capovolge completamente rispetto alla precedente, il silenzio vuol dire assenso: l’amministrazione ha accettato la proposta a cui non ha risposto.

Infine, il cittadino, deve sempre essere informato dell’avvio di procedimenti che lo riguardano.

L’importanza di una tale riforma dell’amministrazione è stata poco avvertita dalla società di allora, anche perché la normativa è stata interpretata con ritardo: cambiare gli usi incancreniti di tutti i dipendenti della PA, quasi culturali si può dire, è stata opera lenta e difficile. Oramai, però, a 30 anni dalla riforma, si può dire che tali disposizioni costituiscano diritti acquisiti e irrinunciabili della collettività.

Così anche il Consiglio di Stato ha sottolineato l’importanza di tale riforma “Il passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere rappresenta per l’ordinamento nazionale una sorta di rivoluzione copernicana.