Affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio

L’affidamento dei figli, nel caso di separazione more uxorio, è un argomento che si incontra molto frequentemente durante lo svolgimento della pratica forense; infatti, spesso, genitori non sposati che hanno posto fine alla loro unione, giungono a chiedere consiglio e a conoscere quali possano essere le conseguenze per i loro figli.

A oggi, la legge 219 del 2012, sulla base del principio di uguaglianza ex art 3 Cost., ha eliminato definitivamente ogni differenza tra figli naturali e figli legittimi attribuendo ad entrambi gli stessi diritti; infatti, come affermato dalla Corte Costituzionale del 1998, la normativa in materia di tutela dei figli legittimi deve essere interpretata in senso estensivo e, pertanto, deve essere applicata anche ai figli naturali. Da ciò deriva che i figli nati fuori dal matrimonio, al pari dei figli nati da genitori sposati, hanno diritto ad essere ascoltati, mantenuti, educati e assecondati nelle loro inclinazioni e predisposizioni, tanto nello studio quanto nello sport o in altre attività.

A seguito della cessazione del rapporto tra soggetti conviventi, ai sensi dell’art. 337 ter c.c., il figlio è affidato a entrambi i genitori ad eccezione del caso in cui, per gravi motivi, uno dei due non sia idoneo; ciò è necessario al fine di garantire ai figli il diritto a mantenere un rapporto equilibrato con i propri genitori. Diverso dall’affidamento è il concetto di collocazione, il minore, infatti, a seconda di quanto disposto dal giudice o dall’accordo delle parti, trasferisce la propria residenza con la madre o con il padre; di regola, il bambino andrà a vivere nella casa coniugale che sarà, pertanto, attribuita, a titolo di comodato, al genitore collocatario. Il minore, infine, ha diritto all’assegno di mantenimento fino al raggiungimento della maggiore età o comunque fino a quando non sia divenuto economicamente indipendente.

Per quanto concerne la procedura processuale i due conviventi che abbiano deciso di separarsi hanno la possibilità di tentare la mediazione familiare qualora ritengano che, tramite essa, potrebbero sanare la situazione; in alternativa, possono procedere direttamente in sede giudiziale, non essendo la procedura di mediazione obbligatoria.

Il procedimento giudiziale, di competenza del giudice ordinario, è definito “partecipativo” perché consente ai genitori di prendere parte alla formazione del provvedimento che regolamenterà i rapporti con i figli.

Detto procedimento prende avvio con il deposito del ricorso ex artt. 316 e 317 bis c.c. a esito del quale il Presidente del Tribunale non procede all’immediata fissazione dell’udienza di comparizione delle parti ma dispone due termini, uno alla parte ricorrente per la notifica del ricorso e l’altro alla parte resistente per il deposito della memoria difensiva di costituzione; inoltre, alle parti viene concesso il termine per il deposito delle relative dichiarazioni del redditi.

Qualora, a seguito di questa fase, le parti non riescano a trovare un accordo sarà il Giudice a decidere, con decreto, in merito all’affidamento, al mantenimento e alla casa coniugale.