Comodato precario a titolo gratuito vs assegnazione casa familiare

in Diritto di Famiglia

Il ricorso al comodato senza determinazione di durata rappresenta un mezzo usato frequentemente dai genitori o parenti come soluzione del problema abitativo in favore di giovani coppie che contraggono matrimonio.
Costante giurisprudenza ha stabilito che il bene concesso in comodato rimanga vincolato a tale rapporto nel caso di successiva separazione o divorzio del comodatario, quando il giudice assegni la casa all’altro coniuge affidatario di figli minori o maggiorenni conviventi che non siano economicamente autosufficienti.
Qui nasce il problema attinente alla durata della sospensione del diritto dominicale del comodante, nell’ottica della commisurazione dei suoi interessi (solitamente è il genitore del coniuge estromesso) a quelli di tutela del residuo nucleo familiare perseguito del provvedimento di assegnazione.
La questio sostanziale sta nell’individuazione di un termine al comodato ove lo stesso comodante non lo abbia esplicitamente fissato prima dell’intervento del provvedimento di assegnazione giudiziario. Tale momento dovrebbe essere individuato in relazione all’uso della cosa comodata dedotto in contratto. In mancanza di particolari manifestazioni di volontà delle parti all’atto di cessazione della convivenza familiare, nel nostro ordinamento giuridico è prevista la permanenza della funzionalità tipica della abitazione familiare.
Parte della giurisprudenza di legittimità aveva posto rimedio a tale problematica asserendo che quando la casa familiare sia utilizzata dai coniugi “in virtù di un contratto di comodato senza predeterminazione di un termine finale, la durata dell’utilizzazione dell’immobile è governata dalla disciplina fissata nel provvedimento giurisdizionale di assegnazione e non da quella propria del rapporto originario di comodato” (Cass n.10258/1997). La parte maggioritaria della giurisprudenza, tuttavia, ha sostenuto, per contro, che la successione del coniuge assegnatario al coniuge beneficiario originariamente del comodato nel godimento della casa familiare, implica il rispetto delle norme proprie del tipo contrattuale da cui si origina il diritto di godimento stesso.
In particolare, a proposito del comodato senza la fissazione di un termine (c.d. comodato precario) il codice civile consente al comodante la possibilità di riottenere il possesso del bene di sua proprietà concesso gratuitamente al comodatario ad natum.
A risolvere questo contrasto giurisprudenziale in materia sono intervenute le Sezioni Unite con la fondamentale sentenza n. 13.603 del 21/07/2004. Con tale provvedimento la Cassazione ha stabilito che il bene immobile offerto in comodato ad una coppia di coniugi quale casa familiare rimane adibito a tale scopo anche dopo la separazione o il divorzio degli stessi (laddove uno dei coniugi sia beneficiario del provvedimento di assegnazione dello stesso immobile quale persona affidataria convivente con i figli minori o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti).
La natura dell’originario contratto di comodato quindi non viene meno, ma si determina una concentrazione nella persona dell’assegnatario di detto titolo di godimento, con la conseguenza che il comodante è tenuto a rispettare la continuazione dell’uso previsto dal contratto, salva l’ipotesi di un urgente ed imprevedibile bisogno, ai sensi dell’art. 1809, comma 2, c.c.. In altre parole, secondo i Supremi Giudici, tale forma di comodato non si configura in un “precario” in quanto il termine rimane comunque determinato della tipicità dell’uso a cui il bene è destinato.
Dall’altra parte le Sezioni Unite hanno evidenziato che non si possa privare in modo assoluto il comodante proprietario, che ha già rinunciato ad ogni rendita sul bene in favore della comunità familiare, della possibilità di disporre del bene fino al momento del raggiungimento dell’indipendenza economica dei figli, circostanza, tra l’altro, non prevedibile al momento della stipula dell’accordo. In tale caso si assisterebbe, infatti, ad una espropriazione delle facoltà connesse alla sua titolarità sull’immobile, con evidenti lesioni del diritto costituzionale di tutela della proprietà privata.
In definitiva la Cassazione consente al comodante di recedere solamente nell’ipotesi di urgente e improvviso bisogno, di cui all’art. 1809 c.c., con esclusione della recedibilità ad nutum ex art. 1810 c.c.. Tale soluzione, comunque, fa rifluire le esigenze connesse alla tutela della casa coniugale e dei minori sul terzo proprietario sul presupposto, tuttavia, che a tale peculiare destinazione abbia partecipato, in origine, anche la sua volontà.
Non sono tuttavia mancate espressioni della successiva giurisprudenza che hanno interpretato in senso più estensivo il concetto di “improvviso bisogno”, ricomprendendovi anche i casi di significativa diminuzione del patrimonio del comodante ( in tal senso: “Il bisogno che giustifica la richiesta del comodante di restituzione del bene non deve essere grave ma imprevisto.(…) Ne consegue che non solo la necessità di un uso diretto ma anche il sopravvenire d’un imprevisto deterioramento della condizione economica del comodante – che giustifichi la restituzione del bene ai fini della sua vendita o di una redditizia locazione – consente di porre fine al comodato, ancorché la sua destinazione sia quella di casa familiare.” Cass n. 20448 del 29/09/2014).
La conclusione di compromesso dirimente delle Sezioni Unite del 2004, tuttavia, come anticipato, presta il fianco all’emersione di molteplici criticità.
Innanzitutto, il diritto di godimento della casa è situazione giuridica di cui può essere titolare la singola persona fisica e non la famiglia in sé e per sé, che altrimenti verrebbe “entificata” quale “società civile”. Inoltre, la tutela rivolta verso i figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti a vivere nella stessa casa familiare esiste solo successivamente alla crisi del rapporto familiare, sia esso separazione o divorzio. Infatti, durante il normale svolgimento del manage coniugale, il comodante potrebbe vendere la sua casa ad un terzo il quale potrebbe opporre al comodatario (la famiglia) il titolo debitamente trascritto, oppure il comodante medesimo potrebbe recedere ad nutum ex art. 1810 c.c.. A nulla varrebbe in tali casi accertare la comune intenzione delle parti di destinare il bene a casa famigliare.
Animata da queste deduzioni una certa corrente dottrinale (GABRIELLI, CIPRIANI) è arrivata a sostenere l’esclusione dell’ammissibilità dell’assegnazione della casa detenuta a titolo di comodato per impossibilità di diritto, in quanto l’essenzialità dell’intuitus personae che connota l’agire liberale è dimostrata nel caso di specie dalla circostanza che nemmeno la successione per causa di morte a titolo universale ha per oggetto i diritti personali costituiti per spirito di liberalità o addirittura, più ampiamente, a titolo gratuito: la legge esclude espressamente la successione proprio in materia di comodato ai sensi dell’art 1811 c.c. Logiche conclusione di tali spunti sono l’inammissibilità dell’assegnazione della casa familiare nel caso di detenzione dell’immobile a titolo di comodato.
Nonostante tali elementi dottrinali la giurisprudenza post-sentanza S.U. 13.603/04 si è uniformata ai principi dettati proprio in tale decisione, fatto salvo per occasionali interventi nei quali si è sostenuto che “Laddove vi sia “comodato precario”, ai fini dei diritti esercitabili dal comodante, non assume rilievo la circostanza che l’immobile sia stato adibito ad uso familiare e sia stato assegnato, in sede di separazione personale all’affidatario dei figli.” (Cass. n. 15.986 del 7/07/2010).
Per quanto riguarda l’opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione della casa concessa al coniuge affidatario dei figli l’art. 337-sexies, comma 1, c.c., dispone che “il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili ed opponibili ai terzi ai sensi dell’art. 2643 c.c.”, superando un vuoto normativo che aveva dato adito alla risoluzione della problematica per mezzo di elaborazioni giurisprudenziali. Sul coniuge assegnatario grava un onere di trascrizione del provvedimento giudiziale. In caso di conflitto tra più aventi causa sul medesimo immobile si applica la regola del prior in tempore potior in jure.
Nonostante la disposizione di legge pare chiudere a priori ogni problematica sulla discussione della fattispecie, la giurisprudenza più recente si è espressa in maniera differente.
Infatti la Suprema Corte ha affermato il principio secondo cui, anche se l’acquisto del terzo è trascritto anteriormente alla trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare, il coniuge o il convivente assegnatario può comunque opporre il proprio diritto al terzo acquirente in quanto titolare di una detenzione qualificata del bene cronologicamente preesistente all’alienazione. Il coniuge o convivente assegnatario, secondo la Cassazione, è titolare di un “Doppio qualificato titolo detentivo: il primo costituito della convivenza di fatto con il proprietario dante causa, il secondo dalla destinazione dell’immobile a casa familiare, prima dell’alienazione a terzi e della cristallizzazione di tale ulteriore vincolo mediante l’assegnazione familiare.” Cass sez. I n.17871/2015, confermato anche in Cass sez III n. 7007/2017.
Naturalmente le critiche in dottrina a tale conclusione giurisprudenziale sono pervenute copiose, accusando addirittura la Cassazione di aver eluso l’applicazione dell’art 337-sexies (PALADINI).

Bibliografia

• A. FASANO, M. FASANO, R.ROSSANO Rapporti patrimoniali e crisi coniugali, Torino, 2010, Giappichelli, p. 502-505.
• A. CAGNAZZO, F. PREITE, V. TAGLIAFERRI Il nuovo diritto di famiglia, Milano, 2015, Giuffrè, p. 1623-1628.
• P. ZATTI (diretto da) Trattato di diritto di familia, Milano, 2011, Giuffrè, p. 1777-1792. 
• G. ALPA, S. PATTI (diretto da) La separazione personale dei coniugi. Padova, 2011, CEDAM, p. 345-353