Periodiche polemiche emergono quando si parla della tassazione che si deve imporre ai luoghi di culto, primi fra tutti sui luoghi di proprietà della Chiesa Cattolica Romana, di fatto la prima religione per adesioni in Italia. Chiese, oratori, edifici di culto, ma anche sacrestie, ospedali, case di cura, tutto ciò che ha come fine l’esercizio di un culto è, applicando l’attuale legislazione, esentato dal pagamento dell’imposta comunale sugli immobili, comunemente detta I.C.I. (ex I.M.U., imposta municipale propria).
La ratio è evidente: non onerare di alcun pagamento tributario strutture che hanno come fine l’assistenza socio-spirituale della collettività.
Da tale definizione sono sorte, tuttavia, richieste di altre associazioni religiose, che ritengono di assolvere agli stessi compiti deputati alla chiesa cattolica, in quanto, per i fedeli che le professano, anche tali religioni avrebbero come fine ultimo la cura e l’assistenza spirituale e sociale dei fedeli.
Ricordiamo che la nostra Carta Suprema, la Costituzione, riconosce libertà di culto in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico i relativi riti, purché non sia lesiva del buon costume (art. 19 Cost.). Inoltre l’articolo successivo prevede che “Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.” (art. 20 Cost).
È il legislatore che stabilisce quali religioni sono “non contrarie al buon costume”, stipulando con esse apposite intese, strette tra Stato e rappresentanti dei diversi “credo”, che hanno la funzione di riconoscere quel culto come religione in Italia. Così nel corso degli anni sono stati riconosciuti la Tavola Valdese, l’Unione delle Comunità Ebraiche, la Chiesa Evangeliche Luterana, l’Unione Buddista e l’Unione Induista (solo per citarne alcune). I rapporti tra le suddette religioni e lo Stato italiano sono regolati dalle stesse intese che le riconoscono (tra cui il trattamento tributario a loro imponibile e la libertà di edificare strutture). Altre religioni non sono ancora state riconosciute in Italia e i motivi sono essenzialmente due: mancanza di una rappresentanza unitaria assimilabile ad un’associazione clericale (come i musulmani, che si dividono in due grandi gruppi, sciiti e sunniti, oltre che in una grande quantità di sottogruppi di formazione tribale), o perché ritenute “potenzialmente pericolose” in quanto potrebbero prestarsi a manipolare i propri fedeli (come i testimoni di Geova o Scientology).
Laddove il culto non sia riconosciuto a livello statale, le autorizzazioni ad innalzare luoghi di preghiera, il trattamento tributario imponibile, i rapporti tra religionsi e autorità, è demandato alle singole amministrazioni periferiche.
È stato per queste ragioni che il Comune di Roma Capitale ha contestato alla Congregazione dei Testimoni di Geova il mancato pagamento dell’I.C.I. negli anni 2005, 2006, 2007. La Congregazioni ricorreva fino alla Corte di Cassazione, rivendicando la categoria E7 degli immobili contestati, rientrando nella destinazione al culto e quindi esentai dal pagamento delle tasse. Il Comune contestava che gli immobili fossero invece adibiti ad una produzione agricola e zootecnica, oltre che ad ospitare ministri religiosi stranieri, rendendo la struttura assimilabile ad un albergo.
La Cassazione ha definito che l’attività agricola o zootecnica deve essere provata, non basta eccepirla, oltre che l’attività di foresteria dei ministri di culto integrano l’esenzione dall’I.C.I., in quanto aventi anch’esse fini religiosi.
In definitiva la Corte stabiliva che tutti gli immobili destinati a luoghi di culto sono sempre esenti da I.C.I., a prescindere che siano di proprietà di culti riconosciuti o meno dallo Stato.