Tra privacy e sanità, l’App per tracciare il contagio in Italia.

in Diritto Amministrativo

Ufficialmente nasce per tracciare il percorso di tutti i cittadini che liberamente decideranno di istallarla sul proprio smartphone, e poter, in conseguenza di ciò, individuare i punti di incontro e, soprattutto i contatti, intercorsi tra un soggetto contagiato e la popolazione, così da poter rapidamente intervenire per impedire ulteriori contagi.

Si inizierà la sperimentazione da alcune regioni pilota (quale la Lombardia, visto il devastante impatto della pandemia) e in alcune aziende candidatesi come volontarie, come le sedi della Ferrari di Modena e Maranello.

L’idea è venuta ai ministeri della Salute e dell’Innovazione Tecnologica e della Digitalizzazione, su ispirazioni di altri paesi che hanno conosciuto prima di noi il virus Covid-19, tra i quali la Cina, Corea del Sud e Singapore. Sono stati riuniti 8 gruppi, ciascuno composto da 74 esperti di diritto alla privacy, epidemiologia e sociologia e ingegneria che hanno formato una Commissione, che ha potuto godere anche dei pareri di AGCOM (Autorità per le garanzie delle telecomunicazioni), AGCM (Autorità garante della concorrenza e del mercato ) e del Garante della Privacy.

Da questo tavolo di lavoro, riunitosi il 30 marzo e il 4 aprile 2020, è ricaduta la scelta su l’applicazione Immuni, prodotta dall’azienda italiana Bending Spoons, scelta tra 319 imprese, ognuna della quali aveva avanzato una propria proposta.

Il governo ha motivato ufficialmente la sua scelta basandosi sulla seguente triplice motivazione:

  1. capacità di contribuire tempestivamente al contrasto alla diffusione del Corona virus.
  2. conformità al modello europeo delineato nel Consorzio PEPP-PT.
  3. adeguate garanzie per la tutela della privacy.

Ma nel mondo occidentale, così abituato alla libertà e poco avvezzo ad ogni tipo di controllo, un’applicazione del genere non poteva che destare proteste e preoccupazioni. E così varie associazioni hanno cominciato a contestare l’imminente diffusione dell’App. Sono cominciate a circolare sui circuiti social messaggi che mettono in guardia l’utenza sui pericoli insiti nell’applicazione. C’è anche chi grida al tentativo di controllo che i governi mondiali stanno approntando sui cittadini approfittando del Virus, e chi, addirittura, nega l’esistenza del Virus stesso, ritenendolo un passepartout per un controllo definitivo sul modus vivendi di ognuno di noi.

Lasciando da parte queste teorie cospirazioniste, sempre più comuni nella nostra contemporaneità, cerchiamo di capire cosa sia effettivamente questa applicazione chiamata Immuni, e soprattutto quali vantaggi offra e quali rischi nasconda.

Immuni non è altro che un supporto tecnologico al contact tracing (tracciamento dei contatti), con il quale, individuata una persona contagiata, si ricostruiscono i suoi incontri precedenti per trovare le persone che può avere a sua volta infettato.

Il programma potrà scaricarsi, sia per i sistemi Android che per IOs, a partire da maggio gratuitamente. Il sistema funziona attraverso il lettore bluetooth; il cellulare su cui è istallata Immuni riconosce e registra i codici identificativi degli altri smartphone, sempre dotati di Immuni, che si trovano nelle vicinanze (a meno di un metro di distanza, per un numero sufficiente di secondi), lavorando in maniera totalmente automatica in background. In considerazione dei relativi dati, un algoritmo classificherà il rischio di contagio, ordinando i cellulari in una graduatoria. In caso di contagio, l’utente riceverà delle credenziali per accedere alla sua lista di incontri registrati, ai quali verrà inviata una notifica. Il programma è inoltre fornito di una sezione ove annotare le evoluzioni del quadro clinico e contattare le strutture sanitarie competenti.

Conoscendo come lavora l’App, si possono immediatamente capire le ragioni di preoccupazione sociale in attinenza alle possibile violazioni della privacy e ai controlli illeciti che ne possono derivare.

Per tranquillizzare l’allarmata opinione pubblica è intervenuto il dott. Luca Foresti, uno degli ideatori di Immuni che ha dichiarato che i dati registrati dal’applicazione sono totalmente anonimi, in quanto vengono salvati dei codici per ogni smartphone che rendono impossibile risalire al proprietario dello stesso.

Il tracciamento GPS degli spostamenti, inoltre, per il momento non è previsto, anche perché avverso alle linee guida europee, in quanto considerato lesivo dei diritti dalla privacy (si noti bene però che nonostante ciò, tale sistema è stato comunque adottato nelle App in sviluppo a Cipro e in Norvegia). Un tracciamento basato sul segnale GPS, permetterebbe non solo di individuare “incontri” tra soggetti a rischio, ma anche di collocarli precisamente sul territorio, individuando tempestivamente le zone di nuovi focolai. In considerazione di tali elementi bisogna, ancora una volta bilanciare il diritto alla privacy, la libertà di spostamento e il diritto alla salute.

In Italia, come nella maggioranza degli altri paesi europei, l’App non potrà quindi individuare gli spostamenti dei suoi utenti, a ulteriore garanzia della riservatezza degli stessi.

Uno dei problemi principali, comunque, rimane legato al luogo in cui verranno conservati tutti i dati, classificabili come “sensibili” a norma del GDPR 679/2016, e quindi per i quali deve essere approntato un sistema molto rigido di controllo e soprattutto protezione.

Fonti del ministero dell’Innovazione hanno parlato di server pubblici nel rispetto della legge italiana e delle disposizioni europee vigenti in materia di privacy.

Ma sul problema del dove verranno alloggiati i dati (e, nello specifico se su server esterni o sugli stessi smatphone, o entrambi) ancora si discute. Google play e Apple App Store (le due piattaforme da cui sarà scaricabile Immuni), spingono affinché tali dati rimangano alloggiati solo su ciascun cellulare dotato di app di contact tracing. Il problema, infatti, non riguarda solo l’Italia, ma accese discussioni si registrano anche in Francia e Regno Unito. Lo stesso Consorzio PEPP-PT sta cercando una mediazione tra i colossi di Google e Apple e le esigenze dei singoli governi.

Le fondate preoccupazioni principali riguardano quindi la sicurezza e più nello specifico le modalità con cui questi dati saranno preservati da un utilizzo commerciale o spionistico, che sono un rischio potenziale innegabile.
In quest’ottica possiamo distinguere due rischi principali:
1- quello di una “anonimizzazione” incompleta dei dati, che esporrebbe la privacy degli utenti a gravi limitazioni, permettendo di creare dei profili identificativi specifici;
2- quello del rischio della circolazione dei dati stessi in caso di attacco hacker o per data leakage dovuto a carenza di congrue “barriere” informatiche.
Su questi aspetti più che il parare di un legale occorrerebbe la valutazione di un tecnico informatico esperto e neutrale (meglio se Hacker Etico) .

L’applicazione, infine, potrebbe avere senso solo se la tracciabilità dei contagiati fosse disponibile alle Autorità di pubblica sicurezza e a quelle sanitarie.

La mediazione tra i governi e i colossi dell’I-tech ha portato, secondo le ultime indiscrezioni, alla decisione di creare un server pubblico che sarà utilizzato, solo come “serbatoio” di numeri ID dei cellulari, mentre le interazioni con gli stessi rimarranno conservati esclusivamente nel cellulare dell’utente. Rimangono da discutere le limitazioni che una simile soluzione imporrebbe agli organi di controllo statale, andando a minare la tempestività di un’intervento pubblico mirato a impedire nuovi contagi.

Inutile ulteriormente sottolineare la complessità di una simile materia e i delicati molteplici profili che rischiano di essere compromessi dalla stessa.

Uno dei motivi che ha spinto il governo italiano a scegliere l’app sviluppata da Bending Spoons, è che questa sia totalmente open source, ovvero che i dati raccolti, ricordiamo in forma anonima, siano consultabili non solo dalle Autorità italiane, ma da qualsiasi governo in lotta con la pandemia (immaginiamo, per esempio, un Paese confinante), o da qualsiasi soggetto interessato a mappare per motivi di studio la diffusione della malattia.

I dati, a fine emergenza dovranno essere eliminati.

Questi dettagli spingono a pensare che, salvo clamorose falle nel sistema di “anonimizzazione” o comportamenti fraudolenti, il sistema sulla carta garantisca una privacy sufficiente.

Il premier Conte, ha tuttavia sottolineato che l’istallazione di Immuni sarà facoltativa, anche se il sistema, per essere efficace, dovrà essere scaricato e istallato almeno dal 60-70% della popolazione. E qui si deve prendere in considerazione un ulteriore problema specifico del nostro paese: l’età media avanzata e la non conoscenza informatica di una vasta fascia della popolazione.

D’altronde in Cina, i cui abitanti sono sicuramente più abituati di noi alle ingerenze governative nella vita di tutti i giorni, l’App di contact tracing, molto più rigorista della nostra, è stata istallata solo dal 12% della popolazione. L’applicazione cinese può essere paragonata, in effetti, ad un vero braccialetto elettronico, analogo a quello imposto per gli arresti domiciliari in Italia, che individua, e segnala direttamente e immediatamente al governo, gli spostamenti dei singoli. All’istallazione dell’app sono stati associati benefici, soprattutto sanitari (come donazioni di mascherine), ma nonostante ciò, come emerge dai dati, nemmeno i cinesi si sono fidati molto.

E da qui l’ultima osservazione che vogliamo porre all’attenzione del lettore: se nemmeno in Cina, dove, come dicevano, sono più abituati di noi a censure e limitazioni della libertà, l’App è stata scaricata da un numero insufficiente di utenti per rendere effettivo un contrasto al Corona virus, ha senso provarci nel nostro Paese? Considerando poi le criticità di coordinamento con diritti fondamentali come quello della Privacy, e le caratteristiche della nostra popolazione, ove gli over 75 sono quasi il 12% del totale, e in cui un italiano su 4 che possiede un cellulare ne ha uno non smart, il dubbio diventa ancora più significativo.