Maltrattamenti in famiglia e prova della violenza sessuale.

in Diritto di Famiglia

I reati che analizziamo nel presente articolo spesso si manifestano legati l’uno all’altro.

Il caso specifico che prendiamo in oggetto, deciso dalla Corte di Cassazione con sentenza 44956/2019, riguarda la vicenda di due coniugi: la moglie accusava il marito di maltrattamenti in famiglia (ex art. 572) e violenza sessuale (ex art. 609 bis).

Il rapporto fra marito e moglie, infatti, si era incrinato irrimediabilmente nel corso degli anni, degenerando in continui maltrattamenti rivolti alla donna, culminati con l’imposizione del compimento di un atto sessuale alla quale la donna non avrebbe consentito.

Come spesso accade in casi analoghi, il difensore del marito si appellava ai seguenti elementi:

  1. le accuse si basavano tutte su testimonianze dirette della parte offesa, o su testimoni “parziali” quali i di lei parenti.
  2. poiché la moglie stessa, interrogata, aveva sostenuto che mai il marito era stato violento nei confronti delle figlie, non poteva configurare l’articolo 572 c.p.
  3. la donna, inoltre, non avrebbe dato un dissenso esplicito al rapporto sessuale oggetto delle accuse; tale diniego sarebbe stato necessario anche in considerazione allo stato matrimoniale che legava i due soggetti.

I Supremi Giudici, tuttavia, confermando una giurisprudenza che sta diventando negli anni sempre più consolidata, hanno così smontato le linee di difesa dell’accusato:

  1. premettendo il sempre doveroso accertamento che rigorosamente il giudice compie per sincerarsi della veridicità delle dichiarazioni di quei soggetti potenzialmente mossi da astio nei confronti dell’imputato, nulla esclude in via di principio, l’accertamento dell’esistenza di un reato sulla mera affermazione della vittima del reato stesso.
  2. Il fatto che la moglie abbia testimoniato che mai è stata mossa alcuna violenza sulle figlie ad opera del marito, non impedisce la configurazione del reato di maltrattamenti, in quanto la fattispecie prevede la costituzione del reato se il soggetto maltrattato è una persona della famiglia (quale la moglie). Inoltre il fatto che la moglie dichiari ciò, depone a suo favore, in quanto dimostra l’assenza di una generale avversità nei confronti del coniuge denunciato.
  3. Infine, per quanto attiene alla presunta violenza sessuale, questo è configurabile anche senza il dissenso in capo alla coniuge, se quest’ultima è abituata a subire violenze fisiche e psicologiche tali da ridurne l’autodeterminazione.

Sulle basi delle suesposte motivazioni, la Corte ha condannato l’imputato sia per maltrattamenti in famiglia, sia per violenza sessuale alla pena di 6 anni e 6 mesi di reclusione. La Corte ha, infine, precisato che la violenza sessuale non può essere annoverata come un atteggiamento maltrattante in quanto non si limita allo svilimento del soggetto passivo (bene giuridico tutelato dall’art 572 c.p.) ma ne coarta la libertà sessuale (bene giuridico tutelato dalla diversa fattispecie ex 609 bis).