La prescrizione: un meccanismo necessario?

in Diritto Penale

Sulla prescrizione da sempre, e segnatamente nell’ultimo periodo, si è fatto un gran parlare. Un’accetta con cui salvare criminali riconoscibili come tali o una garanzia per tutti i cittadini a non vedere un processo prolungarsi potenzialmente verso l’infinito?

Premettendo che questa è una scelta pienamente politica, cominciamo cercando di capire cosa sia la prescrizione.

L’art. 157 del codice penale prevede che: “La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria.

Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell’aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante.

Non si applicano le disposizioni dell’articolo 69 e il tempo necessario a prescrivere è determinato a norma del secondo comma.

Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la pena detentiva e la pena pecuniaria, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva.

Quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, si applica il termine di tre anni.

I termini di cui ai commi che precedono sono raddoppiati per i reati di cui agli articoli, 375, terzo comma, 449, 589, secondo e terzo comma, e 589-bis, nonché per i reati di cui all’articolo 51 commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale. I termini di cui ai commi che precedono sono altresì raddoppiati per i delitti di cui al titolo VI-bis del libro secondo, per il reato di cui all’articolo 572 e per i reati di cui alla sezione I del capo III del titolo XII del libro II e di cui agli articoli 609-bis, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies, salvo che risulti la sussistenza delle circostanze attenuanti contemplate dal terzo comma dell’articolo 609-bis ovvero dal quarto comma dell’articolo 609-quater.

La prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall’imputato.

La prescrizione non estingue i reati per i quali la legge prevede la pena dell’ergastolo, anche come effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti.

In altri termini, un soggetto non può essere riconosciuto colpevole di un reato se questo è stato compiuto lo stesso numero di anni prima rispetto a quelli previsti nel massimo della pena edittale (in ogni caso non si possono prescrivere in meno di 6 anni se delitto o e in meno di 4 anni se contravvenzione).

Il discorso è piuttosto complesso, vediamo di servirci di un esempio per chiarirci le idee. Un soggetto compie una rapina, per la quale è prevista una pena che va da 5 a 10 anni. Trascorsi 10 anni dalla rapina, dunque, i rapinatori non potranno più essere puniti per la stessa, in quanto il reato si è prescritto. I reati per i quali è previsto l’ergastolo non si prescrivono. L’istituto di cui stiamo esponendo i concetti di base è grossomodo questo, anche se poi sono intervenute specifiche disposizioni di legge atte ad attenuare il termine prescrittivo, che spesso si abbatte sui processi causandone una fine improvvisa, impedendo la punizione del reo perché il reato è estinto (come la sospensione per la richiesta di rinvio a giudizio operata dal PM, per esempio). Queste dilazioni dei termini prescrittivi non potranno, in ogni caso, superare un quarto rispetto al termine originario, ovvero il massimo della pena edittale.

Il soggetto autore del reato che venga dichiarato prescritto, non viene assolto, semplicemente si afferma che il reato è compiuto troppi anni prima, secondo le disposizioni di legge, per potersi procedere ad eseguire la pena prevista. Il reo potrà sempre rinunciare alla prescrizione, se mirasse a un’assoluzione piena. In caso tale rinuncia non avvenisse, come accade nella stra-grade maggioranza dei casi, le vittime dello stesso reato avrebbero un doppio smacco: la legge italiana afferma che il reo potrebbe essere colpevole, ma la stessa legge non consente di punirlo.

Questo, secondo i più fini analisti del nostro sistema giudiziario penale (Davigo, giusto per citarne uno), deriva dal fatto che lo stesso si riveli fin troppo garantista rispetto ai colpevoli, e , di conseguenza, troppo poco nei confronti delle vittime.

Non è un mistero, inoltre, che il termine per addivenire alla prescrizione del reato spesso possa essere considerato un vero obbiettivo da raggiungere per i legali delle difese, con qualsiasi tipo di richiesta di rinvio o impugnazione, in quanto, se il processo durerà troppo, i loro assistiti non potranno più subire la pena per il delitto commesso.

Altri istituti testimoniano il generico favor concesso agli imputati: un altro esempio è quello del divieto di reformatio in peius, che impedisce la possibilità di aumentare la sentenza di condanna del soggetto punito in primo grado, se dovesse ricorrere in Appello. Impugnando la sentenza, dunque, non si rischia nulla, è un diritto riconosciuto al condannato, che inoltre, avvicina il termine della prescrizione del reato, senza che lo stesso rischi di vedersi aumentare la condanna.

Nell’ottica del condannato, dunque, nulla lo trattiene dall’impugnazione di una sentenza, se non i costi legali e processuali, che anche questa volta creano disparità tra imputati ricchi e imputati poveri.

E le vittime? Non è un mistero che le vittime rivestano nel nostro sistema penale un ruolo piuttosto marginale. L’impianto accusatorio è retto dal Pubblico Ministero e le indagini vengono compiute degli organi di polizia giudiziaria, entrambi in rappresentanza dello Stato, cosicchè la vittima potrà esserlo doppiamente: del reato e di eventuali negligenze in fase di indagine, che troppo spesso si verificano, offrendo una sponda, anche in questo caso, agli imputati, o di eventuali errori nella conduzione della strategia di accusa in fase processuale. La costituzione della parte civile, istituto grazie al quale la quale la vittima entra nel procedimento, è solo un ruolo secondario, volto sostanzialmente al riconoscimento di una condanna economica-risarcitoria per la perdita subita a causa della condotta dolosa e colposa del colpevole.

Anche in questo caso lo Stato, terzo rispetto alle parti, si ritiene più garantista rispetto ai diritti dell’imputato. E la prescrizione prosegue nella stessa direzione.

Il principale problema della prescrizione è il momento dal quale cominci a decorrere. La scelta del legislatore italiano è ricaduta sul giorno in cui il reato è stato commesso. Ancora una volta scelta molto garantista, in quanto l’inizio del calcolo utile alla prescrizione del reato, inizia proprio dalla data di commissione dello stesso. Considerando che un processo penale in primo grado dura mediamente dai 534 giorni ai 707, secondo i dati forniti dal Ministero della Giustizia nel 2019, e quello di secondo grado 759, contando anche l’ultimo grato, quello dinnanzi alla Cassazione, si arriva a un totale medio pari a 5 anni, senza considerare nuovi rinvii alla Corte di Appello (cifre molto variabili a seconda dell’efficienza dei Tribunali). Considerando queste tempistiche, quelle legate alla scoperta del reato, sommate ai tempi delle indagini, molto variabili a seconda della complessità del caso, è facile immaginare come per l’imputato la soglia della prescrizione si faccia via via più possibile, concreta e vicina.

Altri sistemi hanno limitato tale presunta iniquità, fissando più in là il momento in cui comincia il decorrere utile per la prescrizione. Non la data di commissione dello stesso reato ma, per esempio, la data di rinvio a giudizio, ovvero il momento in cui si concludono le indagini preliminari e l’Autorità considera fondate le accuse, rinviando a giudizio l’imputato (così avviene in Francia, per esempio).

In definitiva, l’istituto della prescrizione ha un duplice effetto: uno positivo e uno negativo.

Tra i lati positivi non possono tacersi i tempi sicuri di un processo, che non potranno durare oltre un lasso temporale predeterminato, offrendo un termine sicuro ai disagi provati in fase processuale dall’imputato. Difficile, inoltra, dare rilevanza a prove testimoniali riguardanti fatti occorsi troppo tempo addietro. Pare ingiusto, infine, punire un soggetto dopo che siano trascorsi troppi anni dalla commissione di un reato, in quanto la persona potrebbe, nel tempo, essere cambiata, migliorata ed auto-educata, non servendo più la punizione che costituzionalmente mira all’educazione del reo.

Tra i lati sicuramente negativi, non possiamo tacere, però, la posizione della vittima, che risulta ancora una volta sacrificata nella sua sete di giustizia, come sottolineato dal CSM e dalla Corte di Giustizia dell’UE che hanno più volte sottolineato l’effetto di impunità che deriva dalla disciplina italiana del termine iniziale per la prescrizione del reato.

In Italia la politica si è divisa su tale punto: il centro-destra è generalmente favorevole all’istituto della prescrizione, considerandolo un baluardo contro possibili soprusi della Magistratura e delle dilungaggini burocratiche, mentre la sinistra si è sempre detta favorevole a modificare l’istituto, all’interno di una riforma complessiva volta ad accorciare i tempi del processo penale. Nel frattempo, il ministro della Giustizia Bonafede, esponente del Movimento 5 Stelle, che delle ingiustizie derivanti dall’applicazione della prescrizione ne ha fatto una bandiera politica, ha sospinto una riforma volta a modificare la prescrizione: la prescrizione verrà sospesa in caso di condanna in primo grado.

La riforma, entrata in vigore dal 1 gennaio 2020, è tuttavia ancora discussa in sede politica, e saranno necessari nuovi interventi.

La questione della prescrizione, insomma, è lungi dal dirsi risolta.

Bibliografia: