La libera circolazione di beni e persone in Unione Eropea.

in Diritto Amministrativo

Un’indubbio vantaggio tangibile scaturito dall’Unione dei Paesi europei, oltre al cessare delle guerre che hanno sempre insanguinato il nostro continente, è stato sicuramente il sancirsi di libertà fondamentali, come quella di circolazione e di commercio.

Un cittadino tedesco può venire liberamente a soggiornare in Italia per quanto tempo desidera, senza dover ottenere visti o permessi di soggiorno che scadono nel tempo, senza dover dimostrare preventivamente quali sono le ragioni del suo viaggio all’Autorità. Allo stesso modo un francese può trasferirsi, per lavoro o affari, per un tempo indeterminato in Olanda, o in Portogallo, o in Polonia, senza nessun preavviso o permesso. Sembra una cosa scontata, ma per potersi spostare in tanti altri Paesi, è ancora oggi necessario l’ottenimento di un visto turistico, essere titolare di un passaporto in regola ecc. ecc. Ci siamo abituati velocemente a quello che abbiamo ottenuto, e ora, troppo spesso, lo diamo per scontato.

Detto questo è importante dire che in seno alla neonata Comunità Europea, composta da Stati che ancora si guardavano in maniera diffidente l’un l’altro, al di là delle dichiarazioni di facciata, il raggiungimento di queste libertà, oggi fondamentali, fu tutt’altro che scontato.

Ci si arrivò, infatti solo nel 1990, con efficacia dal 1995, grazie all’ormai celebre Accordo di Schengen, che non fu adottato dall’Unione Europea, bensì fu negoziato da una parte dei singoli Stati membri, dopo travagliati negoziati, e solo successivamente adottato dall’UE nella sua interezza, adottandolo con il Trattato di Maastricht.

In seguito agli accordi di Schengen ai cittadini, dapprima dei paesi firmatari e poi, dopo Maastricht, di tutti quelli europei, fu riconosciuto il diritto di libera circolazione, passando anche per una cooperazione di polizia rafforzata.

Gli unici limiti a questi diritti assoluti, risiedono nella protezione dell’ordine pubblico, nella tutela della pubblica sicurezza e nella protezione della sanità pubblica.

In ogni caso come accennavamo la libertà di circolazione non si limita ad una libertà di “viaggio”, ma si traduce in molteplici significati. I cittadini europei possono, infatti, stabilirsi in uno Stato europeo diverso dal loro. Da ciò discende il diritto di accesso al lavoro, ad eguali condizioni rispetto ai cittadini del Paese ospitante, ma anche all’apertura di attività autonome, alla costituzione e gestione di imprese.

Di conseguenza sono da considerarsi eguali i titoli professionali validamente riconosciuti in uno Stato membro e anche i capitali debbono necessariamente circolare, assieme alle persone proprietarie, liberamente da un Paese all’altro.

Sempre dal rispetto del principio di imparzialità di uno Stato nel trattamento dei suoi cittadini e di quelli che soggiornano sul suo territorio, pur essendo cittadini di un altro Stato membro, discende il celebre divieto di falsare il libero mercato interno. Allo Stato infatti sono precluse le intromissioni che possano agevolare un’impresa a discapito dell’altra, tale sistema potrebbe essere, infatti, utilizzato per nascondere favoritismi a seconda della cittadinanza dei componenti delle varie imprese. In particolare gli Stati membri non possono cedere aiuti alle imprese se questi sono incompatibili con il libero mercato interno, salvo casi determinati.

In particolare sono generalmente vietati gli aiuti pubblici che possano generare vantaggio economico all’impresa beneficiaria (sovvenzioni, detrazioni fiscali…), creare una maggiore incidenza nel segmento del mercato in cui agisce l’impresa beneficiaria, rafforzandola a danno dei competitor, o trasferire risorse statali tramite finanziamenti di qualsiasi ente pubblico (ma anche da altre imprese controllate dallo Stato).

Abbiamo accennato però alla possibilità di deroghe. Queste possono sussistere automaticamente ed essere, quindi, riconosciute quando: hanno un carattere sociale, aiutano i consumatori danneggiati da calamità naturali. Possono essere riconosciute quando hanno ad oggetto territori economicamente depressi, riguardino la conservazione del patrimonio storico-culturale o per i quali la realizzazione rivesta un comune interesse europeo. In questo caso gli aiuti devono essere ammessi dal Consiglio su richiesta della Commissione.

I controlli sugli aiuti di Stato possono essere successivi alla loro concessione, in tal caso sarà competente la Commissione che potrà condannare l’impresa beneficiaria a restituire l’importo illegittimamente ottenuto, anche adendola dinnanzi alla Corte di Giustizia, o possono essere anche preventivi.

In tal caso lo Stato notifica alla Commissione la volontà di concedere aiuti ad un beneficiario o a un gruppo di beneficiari. La Commissione, analizzata la documentazione esprimerà una decisione positiva o negativa.

Come si è visto tutti i controlli previsti dal TFUE hanno per oggetto anche le imprese private.

Oltre alle limitazioni a loro imposte nel ricevere aiuti di Stato, anche a loro è precluso l’organizzazione di accordi che pregiudichino la libera ed equa concorrenza nel mercato.

Nello specifico è preclusa alle imprese la possibilità di generare intese che pregiudichino la concorrenza, tra le quali, per esempio, accordi commerciali che causino pregiudizio allo scambio tra Stati membri o che alterino le condizioni di concorrenza. Tali clausole sarebbero nulle retroativamente.

Vige anche il divieto assoluto di abuso di posizione dominante, sia individuale che di gruppo. La Commissione è chiamata a giudicare se l’impresa dominante in un determinato segmento di mercato eserciti abuso sulle concorrenti. I criteri di valutazione prevedono il riconoscimento di un segmento di mercato ben rilevabile, la valutazione sulla sussistenza della posizione dominante (che di per sé non è proibita) e la valutazione se sussista o meno uno sfruttamento di tale posizione.

É il Consiglio che legifera in tema di concorrenza, al Consiglio spetta, come sempre, il compito di vigilare e far eseguire tali direttive o regolamenti.

La Commissione, dopo la fase di indagine può archiviare le accuse o inviare all’impresa oggetto di accertamento la comunicazione di addebito. Segue il diritto di replica in capo all’impresa al quale può conseguire l’archiviazione o la decisione di comminare ammende o penalità di carattere amministrativo.

Se l’infrazione non dovesse esaurirsi con il pagamento della suddetta sanzione, la Comissione deve delegare allo Stato il compito di perseguire ulteriormente l’impresa dinnanzi all’Autorità giudiziaria, che sarà il Giudice Nazionale, se la stessa infrazione ha ricadute solo sul territorio nazionale, o la Corte di Giustizia UE se avesse ricadute oltre un singolo Stato membro.