La sovraesposizione dei virologi e la deontologia medica.

in Deontologia Professionale

All’inizio parevano un’ancora di salvezza, quando si cominciava a parlare della strana malattia cinese chiamata Sars Cov-2. Rassicuranti, chi più chi meno, i medici esperti in epidemiologia hanno acquistato sempre più spazio sui mass-media ufficiali. Ben presto tuttavia, sono sorti i primi contrasti tra di essi e la loro area salvifica da sciamani è presto diminuita. Ancora di più, il pubblico, i cittadini, si sono presto divisi in fazioni, chi a sostegno dell’uno chi dell’altro, alcuni di loro sono addirittura stati dotati di una scorta per le minacce ricevute.

La prima domanda è chiara, persino stupida: ma se la scienza è una cosa matematica (scientifica appunto) non dovrebbero pensarla tutti uguali?

L’ovvia risposta è che i dati che emergono dagli studi scientifici sono sì oggettivi, ma la loro interpretazione non lo è. C’è chi ha detto che il Covid sarebbe stata una semplice influenza, poi sono arrivate le scene incredibili delle bare di Bergamo trasportate dai camion militari, chi minacciava nuove ondate, chi diceva che con il caldo sarebbe stata superata naturalmente, chi si sbilanciava sulle tempistiche dell’uscita dei vaccini, chi dubitava dalla loro sicurezza…

Più i mass-media avevano bisogno dei virologi, meglio se dalla spiccata personalità contro corrente, più questi accorrevano, alcuni diventando dei veri personaggi televisivi, presenti a tutte le ore.

Ma davvero la libertà di espressione comprende questi spettacoli? Il diritto di dare un’informazione pluralista arriva a tanto? Senza qualunquismi di sorta, siamo andati a controllare il codice deontologico dei medici, che vincola l’agire dei dottori iscritti ad un qualsiasi Albo nazionale. Gli articoli interessanti a tal fino sono due.

L’art. 53, denominato Pubblicità in materia sanitaria,sancisce: “Sono vietate al medico tutte le forme, dirette o indirette, di pubblicità personale o a vantaggio della struttura, pubblica o privata, nella quale presta la sua opera. Il medico è responsabile dell’uso che si fa del suo nome, delle sue qualifiche professionali e delle sue dichiarazioni. Egli deve evitare, che attraverso organi di stampa, strumenti televisivi e/o informatici, collaborazione a inchieste e interventi televisivi, si concretizzi una condizione di promozione e di sfruttamento pubblicitario del suo nome o di altri colleghi.” L’art 54, invece, è intitolato Informazione sanitaria e regolamenta: “L’informazione sanitaria non può assumere le caratteristiche della pubblicità commerciale. Per consentire ai cittadini una scelta libera e consapevole tra strutture, servizi e professionisti è indispensabile che l’informazione, con qualsiasi mezzo diffusa, non sia arbitraria e discrezionale, ma utile, veritiera, certificata con dati oggettivi e controllabili e previo nulla osta rilasciato per iscritto dal Consiglio dell’Ordine provinciale competente per territorio sulla base di principi di indirizzo e di coordinamento della Federazione Nazionale. Il medico che partecipi a iniziative di educazione alla salute, su temi corrispondenti alle sue conoscenze e competenze, deve garantire, indipendentemente dal mezzo impiegato, informazioni scientificamente rigorose, obbiettive, prudenti (che non producano timori infondati, spinte consumistiche o illusorie attese nella pubblica opinione) ed evitare, anche indirettamente, qualsiasi forma pubblicitaria personale o della struttura nella quale opera.”

Dalla lettura dei due articoli, dunque, ci capisce come il discrimen sia interamente centrato sul divieto di pubblicità personale a scopo commerciale. Ma questo era anche prevedibile. Mai sono capitate, in epoca moderna, pandemie di tale portata che abbiano fatto tutti volgere lo sguardo e le orecchie verso gli specialisti del settore. E più questi acquisivano fama, più si moltiplicavano, nonostante molti avessero discutibili teorie e si lanciassero in avventate previsioni, molto spesso puntualmente sventate dai fatti.

Ai profani ascoltatori non rimane altro che ascoltare più fonti possibili in maniera da farsi una loro idea fondata più che sul fascino dell’oratore, sul riscontro dei dati che egli usa.