La politica doganale del mercato interno all’UE, anche ai tempi del Covid.

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In altri articoli pubblicati in precedenza, a cui si rimanda il gentile lettore interessato, abbiamo illustrato le varie tipologie di atti che possono essere emanati dagli organi UE. Oggi la nostra trattazione ha un obbiettivo diverso: spiegare al nostro lettore cosa sia effettivamente cambiato nel mercato interno ai confini degli stati membri dell’UE.

Abbiamo anche accennato che la stessa Unione Euorpea vaga tutt’oggi tra la forma dello Stato federato, in stile Usa, per intenderci, e la mera confederazione di stati autonomi. Come uno Stato vero e proprio, infatti, ha una moneta unica, una Corte di giustizia suprema comune, per esempio, dall’altro canto, a differenza degli Stati Uniti, gli Stati membri hanno forti poteri autonomi, come la gestione della politica economica o di quella sull’immigrazione.

Una cosa che ci accomuna, comunque, ai veri Stati unitari è sicuramente la politica doganale comune.

Anche questa, in realtà è stata raggiunta non senza qualche difficoltà, e ancora oggi è messa in discussione da diverse frange politiche, laddove la si ritiene non utile a tutelare il mercato interno dell’U.E.

Ad oggi, ad ogni buon conto, abbiamo, in capo a ciascun Stato membro, il divieto di imporre dazi doganali alle merci che penetrano nel suo territorio. L’Italia, per fare un esempio, in maniera autonoma non può tassare i beni provenienti nè da un altro paese UE, né quelli provenienti da Paesi extracomunitari. La politica doganale è gestita unitariamente ed esclusivamente dagli organi UE.

Tutti i dazi doganali et simila (qualsiasi nomenclatura ricevano), imposti autonomamente da un Paese membro sono immediatamente inefficaci e, di fatto, decaduti.

A decidere sulla politica dei dazi, in particolare, è esclusivamente il Consiglio, su proposta della Commissione.

Questi organi, tuttavia, non sono dotati, come ben noto, di una propria polizia “di frontiera” in grado di controllare l’effettivo rispetto della normativa che grava su tutta la merce in entrata sul suolo europeo (altra differenza rispetto agli Stati federali: gli Stati Uniti hanno una polizia locale e una federale, in Europa quest’ultima manca). I compiti di controllo di applicazione delle normative europee, giocoforza, ricade sulle varie polizie doganali dei vari Stati membri, che sono richiamati a far rispettare le norme europee, che di fatto hanno sostituito quelle interne.

I beni importati, dunque, non possono essere gravati di imposte fiscali discriminanti che non siano decise di comune accordo dal Consiglio, né possono essere applicate restrizioni sulle quantità di prodotti importabili.

E le scene dei tedeschi che, in piena pandemia covid, sequestravano i loro carichi di mascherine e altro materiale igenico-sanitario diretto nel nostro Paese, per destinarli ad un preventivo uso interno?

La scappatoia è offerta, come sempre, dalla forma ibrida dell’UE: per particolari casi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o tutela della salute, uno Stato può intervenire d’urgenza sulla politica doganale, in barba alle indicazioni U.E., al fine di tutelare i propri cittadini, a discapito di concittadini europei, facenti parte però, di uno Stato membro diverso.