Quando il coniuge superstite non può continuare ad abitare la casa adibita a residenza famigliare.

in Diritto di Famiglia

Il nostro ordinamento garantisce al coniuge che sopravviva all’altro il diritto di poter continuare a godere della casa adibita a residenza famigliare. A contenere tale disposizione è l’art. 540 del codice civile, il quale cita testualmente: “A favore del coniuge è riservata la metà del patrimonio dell’altro coniuge, salve le disposizioni dell’art. 542 per il caso di concorso con i figli. Al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza famigliare, e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. Tali diritti gravano sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli.

Da quanto si apprende dal dispositivo di legge, al coniuge spetta sempre il diritto di abitazione nella casa famigliare, vita natural durante, anche a danno dei figli del defunto, per esempio, che ereditano, con la morte del padre, un’abitazione gravata da tale onere, e, di fatto, non commercializzabile né abitabile per la presenza del coniuge sopravvissuto, garantita per legge.

Ci si è chiesti se tale diritto debba essere garantito anche al coniuge sopravvissuto che abbia ottenuto sentenza di separazione dal coniuge defunto quando questi era ancora in vita.

La dottrina maggioritaria, a tale proposito, ha sempre dato risposta affermativa, ritenendo che il coniuge separato, ma non divorziato né a cui sia stata addebitata la separazione, avrebbe gli stessi diritti successori del coniuge con matrimonio tuttora vigente. I massimi Autori poi si sono divisi su un ulteriore approfondimento della questione. Vi è chi ritiene che il diritto di poter continuare a vivere nella casa famigliare spetti al coniuge sopravvissuto che, seppur separato, abbia continuato a convivere con l’altro coniuge, prima della sua dipartita. L’altro orientamento è addirittura più estensivo: il diritto di abitazione spetta al coniuge superstite separato ogniqualvolta abbia continuato ad abitare la casa famigliare, in quanto destinatario della sua assegnazione per avere ottenuto l’affidamento dei figli.

Ad intervenire in maniera dirompente rispetto a tali suggerimenti dottrinali è stata la Cassazione, con l’ordinanza 15277/2019. I Supremi Giudici hanno ritenuto, infatti, che il diritto del coniuge superstite di abitare la casa già adibita a residenza familiare non spetta nel caso i due fossero legalmente separati. La separazione dei coniugi, in effetti, rappresenta, dispone la Corte, “un ostacolo insormontabile al sorgere del diritto di abitazione.” In caso di separazione personale dei coniugi, e di conseguente cessazione della convivenza, risulta impossibili individuare una casa adibita a residenza famigliare nella quale garantire il diritto di abitazione.

Se, quindi, il diritto di abitazione può avere a oggetto esclusivamente l’immobile in concreto utilizzato prima del decesso, come “residenza familiare”, l’applicabilità della norma deve essere condizionata all’effettiva esistenza, al momento dell’apertura della successione, di una casa adibita a residenza familiare. Questa è la recente conclusione della Cassazione, che conferma e, dunque, stabilizza l’unico precedente, quello recato dalla sentenza n. 13407/2014.