Nelle mense scolastiche non possono entrare studenti con cibi (panini) portati da casa.

in Diritto di Famiglia

La questione, non di poco conto sul piano nazionale, nasceva quando in diverse scuole, sostanzialmente nello stesso periodo, più Dirigenti Scolastici, vietavano l’accesso alle mense annesse agli Istituti, nei confronti dei bambini dotati di cibo preparato a casa dai genitori.

I dirigenti, a sostegno del loro divieto adducevano motivi logistici e sanitari; i genitori, in risposta, accusavano le istituzioni scolastiche di discriminare i minori e non rispettare le libere scelte delle famiglie in ambito alimentare. Il Consiglio di Stato, adito da alcuni genitori di iscritti in una scuola di Benevento diede sostanzialmente ragione a questi ultimi. Il giudice ordinario, al quale si erano rivolti, invece, i genitori dei minori iscritti in una scuola di Torino, che aveva adottato identici provvedimenti della scuola di Benevento, diede ragione al M.I.U.R. e all’Avvocatura dello Stato che ne faceva le veci in giudizio.

In Appello la situazione fu ribaltata: i giudici ritenerono un onere della scuola consentire agli alunni di consumare il pasto domestico presso la mensa scolastica, adottando le necessarie misure organizzative. Ciò in considerazione, continuavano i giudici, del fatto che l’istruzione scolastica non comprende solo l’attività di insegnamento nelle classi, ma anche il “tempo mensa”, quale tempo di socializzazione fondamentale per la formazione degli studenti. Per tale ragioni la scuola ha l’onere di rendere possibile la coesistenza nello stesso luogo dei soggetti che consumino il cibo fornito dalla mensa scolastica e quelli che consumino cibi preparati dalla famiglia, altrimenti evidente sarebbe la discriminazione nei confronti di questi.

Ha risolvere definitivamente la questione fu necessario l’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione, che, ancora una volta, hanno ribaltato il punto di osservazione sulla questione. Con la sentenza S.U. 20504/2019, i giudici hanno fissato i seguenti punti. Pure dovendosi giustamente ricomprendere il “tempo mensa” nel “tempo scuola”, solo condividendo lo stesso cibo si può creare uno spazio di reale condivisione formativo, senza disparità causata dal fatto che ognuno porti seco il cibo che meglio lo identifica. Se si permettesse ai ragazzi di trasportare e consumare, ognuno per se, cibo portato da casa, la mensa diventerebbe un semplice spazio comune di “consumatori di cibo”, proprio contrariamente al principio formativo della mensa. Seguendo la stessa logica non può ammettersi un diritto soggettivo perfetto e incondizionato all’autorefezione durante l’orario della mensa.

Inoltre, la fruizione della mensa, ricordano i Supremi Giudici, ha un onere economico correlato strettamente alle disponibilità delle famiglie, che non può contrastare con il diritto alla gratuità dello studio, previsto anche nella Costituzione.

In fine, la libertà di educare i figli in campo alimentare non è annullata dall’obbligo di consumare i cibi forniti dalla mensa, in quanto è possibile per i genitori prelevare i figli, fornirgli i cibi che preferiscono, e riportarli a scuola per le lezioni pomeridiane. Il diritto di educare, liberamente il figlio in ambito alimentare, non può considerarsi assoluto, ma va bilanciato con le esigenze delle istituzioni scolastiche che organizzano un servizio mensa proprio in favore degli alunni che hanno optato per il tempo pieno e prolungato accettando la proposta, anche alimentare, della scuola.

Le famiglie degli iscritti nelle scuole pubbliche, possono influire sul procedimento amministrativo volto a scegliere e programmare i cibi offerti dall’Istituzione, ma non hanno il diritto sostanziale di performarlo secondo le proprie esigenze individuali.

In definitiva la Cassazione ha affermato che gli alunni non possano consumare a scuola il cibo portato da casa durante la pausa pranzo, in quanto non esiste nessun diritto sostanziale che consente tale facoltà, nemmeno implicitamente.