INAIL, IMPRESE e COVID, un mix esplosivo, almeno fino a ieri….

in Diritto del Lavoro

Dopo la Circolare INAIL n.13 che dava attuazione alla previsione dell’art.42 del Decreto “Cura Italia”, assicurando la tutela infortunistica lavorativa anche ai soggetti colpiti da corona virus, si era creato un clima di gravissima tensione tra l’ente ed il mondo imprenditoriale in merito alle regole sul regresso che l’ente avrebbe potuto operare nei confronti delle imprese.
La preoccupazione degli imprenditori appariva pienamente fondata, trovandosi nel rischio della configurazione di una sorta di responsabilità oggettiva (giuridicamente inaccettabile, ma purtroppo già vista) a loro carico per il contagio del dipendente con conseguenze rivalsa da parte dell’INAIL per tutte le somme versate a titolo di risarcimento al soggetto colpito.

La circolare n. 22 di ieri a firma Lucibello (Direttore INAIL) sembra riportare la questione su un binario più ragionevole sia in termini di diritto che di logica, riagganciandosi alla recente sentenza di Cassazione (n. 3282/2020) che chiarisce ancora una volta come l’articolo 2087 C.C. «non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, essendone elemento costitutivo la colpa, intesa quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore» .

I punti cardine delle Circolare sono i seguenti;

  • «la causa virulenta viene equiparata alla causa violenta» (aspetto già chiarito in passato per altre patologie) e come tale trattata anche quando i suoi effetti «si manifestino dopo un certo tempo»;
  • nessun aggravio delle tariffe che le imprese pagano all’INAIL in quanto gli oneri degli eventi infortunistici di questo tipo sono a carico «della gestione assicurativa nel suo complesso, a tariffa immutata»;
  • riconoscimento del danno da infezione Covid di origine professionale fondato su un giudizio di «ragionevole probabilità» e «totalmente avulso da ogni valutazione in ordine alla imputabilità di eventuali comportamenti omissivi in capo al datore di lavoro che possano essere stati causa del contagio»;
  • possibilità quindi di rivalsa da parte dell’ente sull’impresa solo nei casi imputabili «a titolo, quantomeno, di colpa, della condotta causativa del danno». Quindi senza una dimostrazione piena di violazione delle misure di contenimento da parte del datore «sarebbe molto arduo ipotizzare e dimostrare la colpa del datore di lavoro»;
  • «le avvocature territoriali dell’Istituto avranno cura di trasmettere all’avvocatura generale le pratiche riguardanti possibili azioni di regresso nei casi di infortunio sul lavoro da Covid-19, accompagnate da una breve relazione in ordine alla ricorrenza dei presupposti richiesti», in modo da limitare le diffide inviate a soli casi credibilmente perseguibili.

In quest’ottica forse la questione è stata riportata in un ambito di applicazione meno drammaticamente distruttivo nei confronti delle imprese, ma fino alla trasmissione delle prime diffide non possiamo fare altro che restare “con le dita incrociate” augurandoci che le prassi delle sedi locali INAIL non cerchino di superare le indicazioni ricevute con la circolare citata.