La pensione di reversibilità.

in Diritto Amministrativo

La pensione di reversibilità è un istituto che si è dimostrato nel tempo un successo della politica sociale raggiunto nel nostro paese nel 1939, quando, il 14 aprile, venne diramato il regio decreto legge 638, in seguito convertito nella L.1272/1939.
L’istituto, infatti, permette al soggetto che subisca la scomparsa del coniuge, di poter mantenere una quota della pensione percepita dal de cuius. Lo stesso diritto è garantito anche nel caso in cui il coniuge nel momento del decesso non avesse ancora maturato l’età per poter andare in pensione, salvo alcuni limiti di versamenti contributivi fissati dall’INPS.
Come è facile intuire, la benemerita misura si prefissava lo scopo di tutelare le donne, molto spesso prive di un lavoro proprio, e quindi di un entrata propria (siamo in epoca fascista), garantendo un reddito minimo, molto spesso l’unico, in caso di morte del coniuge che si curava del fabbisogno familiare grazie al proprio lavoro.
Oggi il controllo, la regolamentazione e la concessione delle pensioni di reversibilità è gestita, come accennato in precedenza, dall’INPS.
La platea dei beneficiari, inoltre, si è molto estesa, non più il solo coniuge sopravvissuto ma molti altri appartenenti al nucleo famigliare.
Tra questi troviamo il coniuge, a determinate condizioni anche nel caso in cui sia separato o divorziato dal de cuius, i figli, non ancora autosufficienti, minori, o inabili, i nipoti, nel caso in cui siano minori e siano stati affidati, anche se non formalmente, al deceduto.
Persino i genitori possono essere riconosciuti titolari del diritto a percepire la pensione di reversibilità, a patto che non vi siano coniuge, figli o nipoti, se hanno almeno 65 anni di età, non siano già titolari di altra pensione e fossero a carico del de cuius al momento del decesso. Negli stessi contesti, ovvero quando non vi siano coniuge, figli o nipoti, hanno diritto alla reversibilità anche i fratelli e le sorelle, se nubili o celibi, che siano inabili al lavoro e a carico del deceduto.
Le percentuali della pensione del de cuius che si trasferisce all’avente diritto dopo la sua morte sono variabili, a seconda del grado di parentela e del numero di affini.
Il coniuge, in particolare, percepisce il 100% della pensione del deceduto, se ha due o più figli a carico, se ne avesse uno percepirebbe l’80%, e se invece rimanesse senza figli il 60%.
Al figlio, o al nipote che è stato equiparato al figlio dalla Corte Costituzionale con la sentenza 180/1999, a patto che sussistano i requisiti che abbiamo indicato poco sopra, spetta il 70% della pensione del genitore, l’80% in totale se ci sono due fratelli e se ce ne fossero tre o più il 100%. Perché possa percepire la pensione di reversibilità il figlio è necessario che non sussista il coniuge del deceduto, altrimenti si applicherebbero le percentuali sopra menzionate.
Fratelli e sorelle inabili al lavoro e a carico del de cuius, hanno diritto al 15% della pensione del date causa fino al raggiungimento del 100%.
La pensione di reversibilità, infine, si riduce in presenza di altri redditi del beneficiario (come una pensione propria o altre entrate da lavoro dipendente o autonomo), con esclusione dei casi in cui del nucleo famigliare facciano parte figli di minore età, studenti o inabili.