Sanzioni in caso di ordinanza del Sindaco non rispettata dai concittadini.

in Diritto Amministrativo

Il Sindaco, in quanto rappresentante locale del governo, ha, come noto, il potere di emanare ordinanze vincolanti nel territorio di sua giurisdizione.

Se, quindi il sindaco emanasse un ordine contenente l’orario obbligatorio di chiusura dei negozi, o imponesse la sospensione delle attività pubbliche (si pensi ai mercati, per esempio) in seguito ai rischi legati alle allerte meteo, sempre più comuni, o imponesse la chiusura di attività commerciali per problemi di igiene o di ordine pubblico tali ordinanze sono giuridicamente obbligatorie e vincolanti per qualunque esercente o utente sul territorio municipale.

Si pensi al rischio di contagio, come nel recente caso del così detto “corona virus”, o piuttosto ai pericoli legati ad una manifestazione che abbia un concreto rischio di distacco di alcuni facinorosi, manifestazione che può essere legata ad un evento sportivo o a una parata politica.

In tutti questi casi, in forza della discrezionalità amministrativa riconosciuta al Sindaco, quando questi ritenga che l’ordine pubblico, la salute della collettività, l’igiene o la sicurezza sia messa in pericolo, può prendere provvedimenti, sempre motivati ( e sulla motivazione potrà intervenire, se adito, il Tribunale Amministrativo Regionale), che reputa idonei a prevenire tali danni e/o pericoli.

In altri casi le ordinanze possono derivare “a cascata” da provvedimenti presi dalla Regione o dallo Stato.

La domanda più opportuna è la seguente: cosa succede se un utente non rispetta tali prescrizioni? Immaginiamo un commerciante, per esempio, danneggiato dall’ordinanza che decida di non eseguirla, che apra la sua attività quando gli è vietato, o un centro ricreativo che dovrebbe essere chiuso ma che permette comunque l’ingresso di ospiti in struttura.

Per le ordinanze contingibili, ovvero quelle che sono volte a garantire l’incolumità pubblica (cioè “l’integrità fisica della popolazione” come previsto nell’art. 54 del T.U.E.L., comma 4-bis ) o la sicurezza urbana (ovvero “il bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell’ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita sociale, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani,la convivenza civile e la coesione socialeex art. 54 del T.U.E.L.) è indubbio che debba applicarsi la tutela panale.

Infatti l’art 650 del codice penale dispone che “Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 206 euro”. Oltre a tale disposizione, che si applica su tutto il territorio nazionale, i singoli comuni possono disporre sanzioni amministrative aggiuntive, come la chiusura dell’attività o il ritiro della licenza.

Nei casi di tutte le altre ordinanze sindacali è discussa l’applicazione della sanzione panale.

La Cassazione, intervenuta in argomento con la sentenza 15993/2016, a previsto un duplice sindacato prima disporre l’applicazione della sanzione panale.

Innanzi tutto il giudice adito deve valutare la legittimità dell’ordinanza del Sindaco che non venga adempiuta. Se, ad esempio, tale ordinanza è stata emanata con eccesso di potere, difetto di istruttoria, illogicità manifesta, contraddittorietà della motivazione, travisamento dei fatti, difetto di attribuzione o le altre figure che comportano l’annullabilità del provvedimento amministrativo o la sua diretta nullità, rendendo l’ordinanza non valida, questa non è nemmeno eseguibile. Per tale ragione il mancato rispetto di un’ordinanza illegittima non è sanzionabile.

Il secondo controllo si configura nell’accertamento dell’eventuale sanzione già prevista dall’ordinanza nel caso della sua stessa non ottemperanza. Nello specifico, se l’ordinanza prevede una sanzione amministrativa, per il principio di specialità, questa non si aggiunge ma sostituisce l’applicazione dell’art.650 c.p., secondo i Supremi Giudici, che hanno applicato l’ art. 7-bis commi 1 ed 1-bis d. lgs. 18.8.2000, n. 267.