L’impresa che dovesse utilizzare, o anche solo detenere, sistemi informatici creati da un terzo, senza aver stipulato un apposito contratto di licenza, si rivelerebbe responsabile sotto un duplice profilo: civile, ai sensi dell’art. 64-bis, e penale, ex art. 171-bis, entrambi contenuti nella legge 633/1941 sulla tutela del diritto d’autore. La persona vittima dell’illecito potrà così chiedere sia il risarcimento per il danno patrimoniale che per quello non patrimoniale.
Sono invece da escludersi sia la configurazione del danno per la violazione dei marchi, fattispecie assorbita dalla dispositivo normativo sopra richiamato, sia il risarcimento per concorrenza sleale, il quale non può dirsi automaticamente sussistente ma deve essere integrato da specifici fattori ulteriori. Questo ha stabilito la XVII Sezione del Tribunale di Roma, deputata alla materia d’impresa, con la sentenza 285/2019.
Il caso in questione può essere assunto come tipico, potenzialmente sempre più diffuso in futuro, in considerazione della crescita del settore delle start-up on-line.
Riguardava un’azienda produttrice di programmi per computer contro alcune imprese che utilizzavano software da quest’ultima prodotti, destinati alla contabilizzazione e alla vendita on-line dei propri prodotti. L’utilizzo di tali software, peraltro riportanti il marchio dell’azienda produttrice, era, dunque, pubblicamente visibile sul sito dell’impresa che lo utilizzava senza alcun diritto.
La ricorrente chiedeva di essere riconosciuta come titolare di tutti i diritti di autore su tali programmi, con la conseguenza che qualsiasi utilizzo degli stessi dovesse essere previamente autorizzato dal produttore (ai sensi della L. 633/1941). In definitiva, quindi, le richieste della società ricorrente era quadruplice: il risarcimento per danno patrimoniale per l lesione del diritto di utilizzo esclusivo dell’opera d’ingegno, quello non patrimoniale per il reato di abusiva duplicazione dei programmi, quello patrimoniale causato dalla violazione dell’esclusiva sui marchi, e, infine, quello derivante dalla concorrenza sleale.
Di tutte queste voci il Tribunale, come anticipato, ha riconosciuto l’esistenza solo delle prime due. Per quanto attiene al profilo della violazione dell’esclusiva dei marchi, infatti, il fatto che i software fossero prodotti con i marchi, rende impossibile l’utilizzo degli stessi senza l’implicito utilizzo anche dei simboli protetti dell’impresa, non potendosi così costituire un autonoma fonte di danno. In attinenza, invece, alla concorrenza sleale derivata dall’utilizzo di sistemi informatici prodotti da altri, questa non è configurabile in quanto non incide sulla concorrenza bensì causa un danno diretto all’impresa produttrice.
Il danno viene quantificato dai giudici ai sensi dei criteri di cui all’art. 158 comma 2, della Legge 633/1941.
Si sono moltiplicati i singoli importi rilevati dal listino prezzi dei software, per il numero delle licenze che gli utilizzatori avrebbero dovuto pagare per acquistarli, e, infine, aggiungendo le spese sostenuto per accertare l’illecito, oneri legali compresi.