Il nostro processo… E quello romano.

in Diritto Penale

Molto si sa di quante parole derivino dalla lingua parlata dagli antichi romani. I nostri stessi istituti giuridici sono stati in moltissimi casi importati, in maniera pedissequa, da quelli latini.

I rapporti tra il nostro diritto e quello romano, sono talmente stretti, che al primo anno di giurisprudenza gli studenti si trovano a dover affrontare un esame di “istituzioni di diritto romano”, e questo non solo in Italia, ma in tutte le università europee continentali, in quanto in tutte le nazioni europee è possibile vedere chiaramente ancora oggi cosa il diritto romano ha lasciato nella legislazione statale. Se è vero che i codici oggi utilizzati (almeno i due fondamentali ovvero il codice civile e il codice penale) sono stati introdotti da Napoleone, è anche vero che i suoi giuristi non hanno fatto altro che raccogliere i principali istituti giuridici di epoca romana. Ci verrebbe da aggiungere che tali istituti siano stati raccolti con gli opportuni aggiornamenti, ma se si confrontassero le leggi Giustinianee (Imperatore romano d’oriente, responsabile della raccolta di tutte le principali leggi a lui coeve e che lo avevano preceduto) a quelle dei codici, si rimarrebbe increduli osservando quanti istituti siano esattamente identici. Basti pensare all’istituto del “buon padre di famiglia”, per esempio, o a quello della “buona fede”, oltre a innumerevoli contratti i cui fondamenti ricalcano in pieno quelli latini.

Il legame tra latino e lingua giuridica odierna è talmente stretto che oggi esistono i “brocardi”, che non sono altro che locuzioni in uso in ambito giuridico che sono stati importati dal mondo romano. Basti pensare a dura lex sed lex, excusatio non petita accusatio manifesta, ignora legis non excusat, ne bis in idem, verba volant cripta manent e un’infinità d altre locuzioni.

Per questi motivi oggi proporremo un processo romano, confrontandolo con il nostro.

La macroscopica differenza, è che in epoca romana non esisteva un ufficio del pubblico ministero. L’accusa non era pubblica, non vi era un organo di polizia incaricato di raccogliere le denunce e svolgere le indagini (tale istituto sarà introdotto successivamente, nel medioevo, con il processo detto inquisitorio). Era il cittadino accusatore che aveva l’incarico di svolgere le indagini, raccogliere indizi e testimoni che lo aiutassero a individuare, e poi accusare, la controparte. Il processo, quindi vedeva entrambe le parti private, come nel nostro procedimento civile.

L’accusatore si recava successivamente dal Pretore, un magistrato pubblico, il quale, ascoltata la postulatio (gli argomenti di accusa) dell’attore, convocava poi l’accusato, attraverso l’interrogatio, allo scopo di verificarle, sentendo direttamente l’accusato. Questa figura può essere oggi in parte sovrapponibile a quella del Giudice dell’Udienza Preliminare.

Se il magistrato avesse riconosciuto la fondatezza delle accusa, infatti, lo avrebbe rinviato a giudizio, altrimenti il fatto poteva dirsi “archiviato”.

In caso di rinvio a giudizio si passava alla fase giudiziale, nel Foro, dinnanzi ad un pubblico, a metà tra diritto e spettacolo (oggi noi abbiamo decine di serie e trasmissioni che simulano i processi). Ancora oggi, inoltre, il processo penale è solitamente pubblico. Alla presenza di tutti i giudici attore e convenuto avevano la possibilità di lanciare le rispettive accusa e difese, senza che la controparte potesse intervenire. I più capaci economicamente potevano servirsi di avvocati, maestri di eloquenza, mentre i meno abbienti dovevano forzatamente fare da sé, con tutti gli svantaggi connessi.

Successivamente le parti incrociavano interrogatori reciproci (altercatio) e infine coinvolgevano prove, testimoni e indizi (probatio).

Infine i giudici emanavano il personale verdetto; la sentenza era basata sulla maggioranza dei verdetti. Questa poteva contenere qualsiasi tipo di prescrizione, dalla piccola multa, all’obbligo di risarcire una determinata cifra alla pena capitale.

La sentenza era definitiva, non impugnabile, eccetto per i casi in cui la sentenza fosse stata particolarmente incerta, ovvero nei casi di maggioranze minime tra i giudici votanti. In questi casi si ricorreva direttamente al popolo, ai comizi centuriati, i quali decidevano una sorta di appello.