Diritto ecclesiastico: i rapporti tra Stato e Chiesa

in Diritto Penale

Il diritto ecclesiastico è la branca del diritto che studia i rapporti tra Stato e Chiesa.

In effetti, mentre il diritto canonico è il diritto della Chiesa, il diritto ecclesiastico, per alcuni versi “internazionale”, regola i rapporti tra lo Stato e le varie confessioni religiose (Ministri di culto, fedeli, laici, sacerdoti, sacramenti, proprietà…), riconosciute o no.

Va da se che nello Stato italiano, che addirittura comprende l’enclave della Santa Sede, capitale del Cattolicesimo mondiale, il diritto ecclesiastico non può che ricoprire un interesse primario.

Il diritto ecclesiastico in particolare trae le sue fonti dal diritto dell’Unione Europea (Carta dei diritti fondamentali, sulla libertà religiosa), dal diritto internazionale (CEDU), dall’art. 19 della Costituzione, e, soprattutto fonti unilaterali (come le leggi, anche regionali), ma anche bilaterali (le intese, pattizie, tra Stato e rappresentanti delle fedi religiose), oltre che le sentenze della Corte Costituzionale.

Il nostro paese si propone di valorizzare il fenomeno religioso quale aspetto fondamentale dell’individuo (“Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.”art. 19 Costituzione). Lo Stato italiano così descritto, appare come Laico, aconfessionale, equidistante e imparziale, garantendo la libertà religiosa e individuale e collettiva dei cittadini e non solo.

Fondamentali a tal fine i Patti Lateranensi: quell’accordo stretto dallo Stato Fascista e dalla Santa Sede nel 1929, che riveste ancora oggi un ruolo fondamentale, così come ammodernati nel 1985.

I Patti, ancora oggi validi, stabiliscono alcuni principi riconosciuti oggi come patrimonio fondamentale quali: l’indipendenza della Chiese sulla materia religiosa e dello Stato sulla materia secolare, l’abolizione dei privilegi ecclesiastici, mantenimento del Clero ad opera dello Stato, l’istruzione cattolica facoltativa nella scuola pubblica.

Le altre religioni, in Italia, hanno avuto un trattamento diverso, meno attento per certi versi (per ovvie ragioni storiche, culturali e geografiche). Gli accordi con queste fedi hanno, infatti, natura puramente interna, in quanto i rappresentanti dei culti non hanno una personalità giuridica (a differenza della Santa Sede, che costituisce un vero e proprio Stato).

Questo si traduce che se l’Italia decidesse di disapplicare i Patti Lateranensi non potrebbe farlo senza il consenso del Vaticano, diversamente dai patti ti natura interna, come quelli siglati, per esempio, con le associazioni mussulmane o valdesi.

Il Vaticano, infatti è uno Stato dotato di personalità giuridica internazionale, il più piccolo del mondo a livello di superficie (0,44 km quadrati nel cuore di Roma) ma in tutto equiparabile a qualsiasi altro Stato. Qui il Sommo Pontefice riveste poteri equiparabili a quello di un monarca assoluto, in quanto in effetti gestisce i poteri legislativi, esecutivi, giudiziari e i rapporti con gli stati esteri.

Come tutti gli enclavi del mondo, ovvero Stati interamente inclusi da altri Stati, per poter funzionare devono necessariamente avere rapporti con gli Stati che li includono.

Così lo Stato del Vaticano, per esempio, ha dovuto stipulare i necessari patti di convivenza-sopravvivenza con lo Stato Italiano. Accordi che riguardano la fornitura idrica, di gas, (tutti gli acquedotti e oleodotti per arrivare nella Santa Sede devono per forza attraversare l’Italia), ma anche patti di cooperazione giudiziaria, esecutiva, di polizia, carcerario, sanitario (0,44 km non possono bastare per tutte queste strutture)…

Per quanto riguarda l’esecuzione delle sentenze, però, è necessario un discorso a parte.

Essendo il Vaticano, come abbiamo detto poc’anzi, uno Stato a tutti gli effetti, i suoi provvedimenti, per essere efficaci e vincolanti nel nostro Paese devono essere preventivamente vagliati dalle nostra Autorità giudiziarie, attraverso un provvedimento denominato “di riconoscimento”, cioè devono valutare se il diritto canonico ivi applicato sia rispettoso dei nostri principi costituzionali fondamentali.