Il sostentamento del clero e il patrimonio della Chiesa.

in Impresa e Società

Ciclicamente riemergono al centro del dibattito politico discorsi, molte volte polemici, su temi quali quelli oggetto del nostro titolo di quest’oggi.

Abbiamo ritenuto il caso, quindi, di fare un po’ di chiarezza su questi argomenti, che molte volte vedono divisi preconcettualmente laici e credenti.

Innanzi tutto il nostro ordinamento distingue due figure in ambito religioso: vi sono, infatti, i fedeli, che non hanno nessuna rilevanza ai fini del diritto moderno, e gli ecclesiastici.

I ministri di culto della religione cristiana cattolica, in Italia, godono, invece, di diverse prerogative, valutate fondamentali ai fini del perseguimento della loro missione religiosa. Godono, infatti, di un segreto professionale del tutto assimilabile a quello dell’avvocato o del giornalista (così che quello che viene detto in confessionale, mai può essere rivelato efficacemente ad un magistrato), e di alcune preclusioni, come l’impossibilità di diventare giudici, magistrati, avvocati o di ricoprire cariche istituzionali. Questo ovviamente è dovuto al fatto che l’impostazione di un prete, soprattutto in una cultura variegata come la nostra, è valutata dal legislatore come portatore di un pensiero parziale, oltre che essere alle dipendenze di diverse autorità incompatibili con il nostro stato di diritto, quali, vescovi, cardinali e, in ultimo, il Papa, che non gli permetterebbero un grado di indipendenza e autonomia tale da poter ricoprire tali cariche pubbliche.

Per il mantenimento del clero, esiste uno specifico organo previsto sia per ogni diocesi (l’Istituto per il mantenimento del clero) sia in sede centrale, presso la Conferenza Episcopale Italiana (l’Istituto centrale per il sostentamento del clero). Il mantenimento dei sacerdoti è assimilabile a quello dei lavoratori dipendenti: hanno le trattenute IRPEF e sono obbligati a versare allo Stato i contributi (hanno un fondo previdenziale presso l’INPS, similmente ai liberi professionisti).

Alla domanda: chi paga questa sorta di “stipendio” la risposta è variegata. In prima battuta i fedeli, con donazioni, lasciti o generiche disposizioni testamentarie, tutti atti totalmente liberali, o pagando “tasse” per servizi ecclesiastici richiesti (come i matrimoni, per esempio).

Tutte queste entrate devono essere dichiarate dai sacerdoti, che, nel caso in cui non bastassero a raggiungere la soglia della “vita dignitosa” (soglia che si aggira sui 1200€, ma che viene calcolata e variata ciclicamente dall’Istituto centrale per il sostentamento del clero) ottengono un’integrazione al fine del raggiungimento di tale soglia, con dazione che provengono dall’otto per mille lasciato dai credenti, volontariamente, nella loro dichiarazione dei redditi.